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Mistero sul viaggio di Attanasio: Kinshasa sapeva, ma smentisce

Un documento certifica la comunicazione. Il governo del Congo replica: «A voce ci ha detto: non partirò»
Luca Attanasio, sorridente e disponibile - Foto © www.giornaledibrescia.it
Luca Attanasio, sorridente e disponibile - Foto © www.giornaledibrescia.it
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La verità sul tragico agguato di lunedì in Congo sembra nascondersi dietro una coltre sempre più fitta di affermazioni contraddittorie, smentite, rimpalli di responsabilità: una cortina fumogena che avviluppa giorno dopo giorno il destino di Attanasio, del carabiniere Vittorio Iacovacci e del loro autista Mustapha Milambo, uccisi da una banda di sconosciuti in una remota provincia dell’immensa Repubblica Democratica del Congo.

Chi doveva proteggerli? Chi era responsabile della loro sicurezza? Sono alcuni interrogativi che attendono risposta, oltre naturalmente a quelli sull’identità degli attentatori, che si confonde in una miriade di sigle di gruppi armati e interessi contrapposti che ribollono in un territorio martoriato.

Sul tema della protezione, le attenzioni finora si sono concentrate soprattutto sul ruolo del Programma alimentare mondiale (Pam), l’agenzia Onu che ha organizzato il viaggio nel Nord-Kivu, e che avrebbe sottostimato il livello di rischio della strada Goma-Rutshuru percorsa dal loro convoglio.

Il governo di Kinshasa - in teoria il primo responsabile della sicurezza del corpo diplomatico straniero sul proprio territorio - si era invece chiamato subito fuori, sostenendo di non avere mai saputo del viaggio a Goma dell’ambasciatore e quindi di non avere potuto attivare la protezione dei servizi e delle autorità locali. Affermazioni ora smentite da un documento dell’ambasciata italiana a Kinshasa.

In realtà, già il 15 febbraio, pochi giorni prima della partenza, il ministero degli Esteri congolese era stato informato dell’imminente viaggio di Attanasio e compagni nella regione di Goma. Ma c’è un giallo: secondo un contro-documento stilato ieri dallo stesso ministero dopo che la nota dell’ambasciata è stata resa pubblica dai media, lo stesso 15 febbraio Attanasio avrebbe «comunicato a voce» al capo del protocollo congolese l’intenzione di non partire più per Goma.

A rimestare ancora di più le acque, il dettaglio fornito dal ministero secondo cui all’aeroporto di Kinshasa non avrebbero mai visto imbarcarsi l’ambasciatore, di cui avrebbero appreso la morte «con stupore» solo dai social media e mentre a loro dire ancora aspettavano la nota che avrebbe dovuto formalizzare la cancellazione del viaggio. Una ricostruzione da cui sembra trasparire la chiara volontà di non essere chiamati in causa sulla responsabilità della protezione di Attanasio nel suo ultimo viaggio. Aspetto su cui ci si attende possano portare chiarezza le tre distinte inchieste in corso nel Paese e condotte dagli inquirenti italiani, da quelli delle Nazioni Unite e delle autorità congolesi. D’altronde lo stesso Pam, pur senza sbilanciarsi nei giudizi, aveva sottolineato che la responsabilità sulla sicurezza in questi casi è «inevitabilmente condivisa». Sullo sfondo restano, inquietanti, le parole della moglie di Attanasio, Zakia Seddiki: «Qualcuno che conosceva i suoi spostamenti ha parlato, lo ha venduto e lo ha tradito», ha detto in un’intervista.

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