Italia e Estero

Meningite: dai primi sintomi alle cure

I primi sintomi della meningite possono essere sonnolenza, mal di testa e mancanza di appetito
AA

I primi sintomi della meningite possono essere sonnolenza, mal di testa e mancanza di appetito. Sintomi che peggiorano dopo un paio di giorni, fino ai segni tipici dell’infezione che sono la rigidità della nuca e quella all’estensione della gamba.

Nei neonati alcuni di questi sintomi non sono molto evidenti, mentre possono essere presenti un pianto continuo, irritabilità e sonnolenza, al di sopra della norma, e scarso appetito.
A volte si nota l'ingrossamento della testa, soprattutto nei punti non ancora saldati completamente (le fontanelle), che può essere palpato facilmente.

La diagnosi precoce è fondamentale per una prognosi più favorevole della malattia. In presenza di un sospetto è bene rivolgersi immediatamente al proprio medico che valuterà l’opportunità di un ricovero ospedaliero. 
L’esame cardine della diagnostica è l'analisi del liquido spinale (liquor), attraverso la puntura lombare, con analisi citochimica, colturale e biologia molecolare. 
Il trattamento deve essere tempestivo. La meningite batterica viene curata con antibiotici; la cura è più efficace se il ceppo responsabile dell'infezione viene caratterizzato e identificato. 
Nel caso di meningiti virali, la terapia antibiotica non è appropriata, ma la malattia è meno grave e i sintomi si risolvono di solito nel corso di una settimana, senza necessità di alcuna terapia specifica, ma solo di supporto.

È dunque molto importante l’identificazione dell’agente che causa la malattia, sia per orientare la terapia antibiotica, sia per definire la necessità della profilassi delle persone che hanno avuto contatti con il malato.
Occorre identificare i conviventi e coloro che hanno avuto contatti stretti con l’ammalato nei 10 giorni precedenti la diagnosi; persone che devono essere sottoposte a chemioprofilassi con gli antibiotici, o a sorveglianza sanitaria. Se, al momento della diagnosi, sono già trascorsi dieci giorni dall’ultimo contatto con chi ha contrattro la malattia, le persone esposte non sono più considerate a rischio.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia