Italia e Estero

Mattarella bis: Caporetto dei partiti. I promossi e i bocciati

Meloni non è riuscita a conquistare i gradi di capo. Mario Draghi confermato comandante
La soddisfazione dell’Aula raggiunto il quorum
La soddisfazione dell’Aula raggiunto il quorum
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Doveva essere la riscossa dei partiti e il rilancio in grande stile della politica. Ma l'elezione del presidente della Repubblica Sergio Mattarella per un secondo mandato è stata la Caporetto dei partiti, la disfatta della politica, cui si è aggiunta la degradazione di alcuni leader, la promozione, ma solo con riserva di altri e solo la promessa di avanzamento di carriera per un ultimo.

MATTEO SALVINI: degradato. Voleva intestarsi la vittoria e ha subito una sonora sconfitta. Ha voluto strafare. Non si è fermato nemmeno davanti al pericolo di intestarsi una vera disfatta. Non ha compiuto solo errori a ripetizione. Ha sbagliato pervicacemente ogni mossa, infilandone una serie. Non ha saputo nemmeno trarre lezione degli errori commessi.

GIUSEPPE CONTE: degradato. Sperava che questa fosse per lui finalmente l’ambita occasione di guadagnarsi sul campo le stellette di comandante. Ha fatto la figura del plautino «miles gloriosus», il soldato spaccone e fanfarone, che è conosciuto per le sue spropositate e infondate vanterie. Si riprometteva di costruirsi il piedestallo di capo indiscusso della compagnia di ventura quali sono i Cinquestelle e s’è fatto infilzare dal più scaltro Giggino Di Maio, l’ex bibitaro che ha la furbizia e la scaltrezza dei guaglioni napoletani.

ENRICO LETTA: promosso con riserva. Promosso, perché l’ha scampata bella. Poteva finire nella polvere, leader del partito che s’è intestato tutte le elezioni dei passati presidenti della Repubblica e subire l’umiliazione di assistere alla proclamazione del primo capo dello Stato voluto dalla destra. Può vantare di aver scansato la sconfitta e ritrovarsi con un uomo dei suoi al Quirinale. Promosso, ma con riserva, perché per lui il bello viene adesso. Aveva un alleato che credeva alla guida di un esercito di prodi, capaci di tutto per quanto buoni a nulla, e dare così credibilità alle sue ambizioni di riscossa. Si ritrova con un’armata di grillini in ritirata, scoraggiati, incerti sul da farsi, ma certi di avere perso la strada.

SILVIO BERLUSCONI: generale giubilato. Ambiva a chiudere la carriera da generalissimo con la conquista della postazione più ambita, il Quirinale, e ha dovuto interrompere la sua marcia, già prima di averla avvistata. Ha ricevuto l’onore delle armi dai suoi sottoposti e il riconoscimento delle sue qualità di combattente e il congedo dai suoi nemici: il trattamento che si riserva a chi esce dai ranghi per pensionamento.

MATTEO RENZI: confermato nel suo grado di generale. Giovane promessa, si è rivelato un vincente quando è stato messo alla prova, maestro di tattica quando è dovuto restare, come nella presente occasione, sotto la tenda perché senza truppa. Sapeva di non avere la forza per arricchire il suo ricco medagliere di king maker. Non ha mancato, tuttavia, di impartire lezioni ai combattenti e sbarrare la strada agli incompetenti.

GIORGIA MELONI: ufficiale di complemento in attesa di arruolamento. Si era proposta tre obiettivi: tenere salda la coalizione, strappare i galloni di comandante al rivale Salvini, imporre un candidato di destra. È riuscita ad ottenere solo un risultato seppure in negativo: degradare Salvini. In compenso si è assicurata la posizione di rendita di guidare l’opposizione - un’opposizione di scontenti - che sempre è una posizione elettoralmente vantaggiosa.

MARIO DRAGHI: comandante in carica confermato. Ha sopportato con stile l’insubordinazione dei suoi sottoposti. Nella sua marcia di avvicinamento alle elezioni politiche del 2023 dovrà tener conto della slealtà e della indisciplina della sua catena di comando.

LA POLITICA: ricacciata nella retroguardia.

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