Le donne ucraine di Brescia: «Il nostro Paese aspetta la guerra»

Preoccupati, come lo si può essere per una malattia cronica che all’improvviso si aggrava e richiede un repentino cambiamento di terapia. Con questo stato d’animo la comunità ucraina che vive nel Bresciano - ufficialmente meno di ottomila persone, in maggioranza provenienti dall’Ucraina occidentale - guarda a quello che accade in patria.
«In molti si sono dimenticati, ma il conflitto in Ucraina orientale continua senza sosta da otto anni» afferma Olga, una delle molte donne che lavorano e vivono nelle nostre case. L’avevamo incontrata, otto anni fa, quando manifestava in piazza Vittoria per attirare l’attenzione sul dramma della sua gente e sul rischio di una guerra nel cuore dell’Europa.Un rischio per tutti, non solo per la popolazione ucraina che, da otto anni piange i suoi giovani morti e vede la graduale e costante distruzione di una vasta area del suo Paese.
Adesso, la malattia si sta aggravando. «È diventata acuta, anche se quella dell’intervento militare sembrerebbe solo una minaccia che aggrava la preoccupante crisi sanitaria ed economica» aggiunge Gaia. A lei si accoda Halyna, da anni in Italia. «Non so più cosa pensare: ho appena parlato al telefono con mia mamma, che vive in Ucraina, e mi ha detto che nessuno crede alle rassicurazioni del premier quando afferma che dobbiamo stare tranquilli. Nessuno, nemmeno la macchina dello Stato - racconta -. Tant’è che, nella riorganizzazione generale del territorio, ci sono meno province e molti comuni si sono raggruppati in Comunità (tipo le nostre Comunità montane, ma senza le montagne, ndr) e ciascuna ha una propria polizia locale.
Ebbene, i poliziotti hanno iniziato ad insegnare alla popolazione come comportarsi in caso di un attacco militare. Non pronunciano la parola guerra, ma è evidente che la mobilitazione è iniziata».
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Da Brescia si sta intensificando, dopo una fisiologica diminuzione avvenuta negli anni successivi alla crisi del 2014, la spedizione di pacchi con indumenti pesanti per l’inverno, da destinare a chi va a combattere nella zona del Donbass, ai confini con la Russia. Si mandano anche generi alimentari e denaro per sostenere l’esercito. Il tutto parte una volta alla settimana con i pulmini che fanno la spola tra l’Ucraina e la zona industriale di Folzano, alla periferia di Brescia, trasportando persone e merci. Le donne nell’esercito.
«Rispetto ad otto anni fa, si deve registrare un altro cambiamento importante - continua Halyna -: da novembre in Ucraina è stato estesa anche alle donne la possibilità di combattere. Non mi risulta ci sia stata opposizione, quindi il provvedimento ha avuto un ampio consenso nella società. Credo che sia dovuto anche al fatto che nelle zone in cui si combatte è forte la presenza di donne volontarie, ci sono anche figlie di alcune immigrate che vivono a Brescia».
C’è preoccupazione, ma anche disincanto. «Nel mio Paese di origine, ormai vivo in Italia da vent’anni ed ho anche la cittadinanza, percepisco forte l’amore, ma anche l’odio, che la popolazione nutre nei confronti della stessa Ucraina - continua -. Otto anni fa il presidente ucraino era Poroschenko, leader controverso, ma forte, con una credibilità da parte della comunità internazionale. Oggi c’è Zelenzky, voluto dai populisti che hanno deciso di scegliere volti nuovi. Il risultato? Che Poroschenko era il soggetto, mentre Zenesky è oggetto delle trattative. Le grandi potenze parlano di guerra e di pace, di interventi armati e di ritiri preventivi dei corpi diplomatici nella capitale Kiev. Il tutto senza l’Ucraina, perché al tavolo non c’è nessuno che la rappresenti».
All’inizio della nostra conversazione, il tono di voce di Halyna era calmo. Poi, come un fiume che accoglie acque da più ruscelli e arriva alla foce straripante, anche lei ha tradito un coinvolgimento che diceva si fosse affievolito. Quasi cronicizzato, appunto.
«A Putin dell’Ucraina non importa nulla, figuriamoci delle regioni ai confini con l’enorme Russia - continua -. Con Biden indebolito, oggi sta tentando la carta dell’Ucraina per renderla instabile. Domani cercherà di diffondere questa instabilità all’Europa intera». A proposito: «Ricordate la crisi dei migranti ai confini tra Bielorussia e Polonia? Ebbene, tra la Bielorussia e la mia città, in Ucraina, ci sono 200 chilometri e nessun confine: bene accogliere donne e bambini, ma i dubbi sugli uomini, portati lì appositamente per essere arruolati, nessuno me li toglie dalla testa. Siamo accerchiati, da una parte e dall’altra».
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