Francia: una vittoria europea, ma i problemi restano

Un secondo mandato per continuare a scommettere sull’Europa unita e per allontanare lo spettro sovranista. La vittoria al ballottaggio delle presidenziali francesi di Emmanuel Macron consegna alla Francia e a Bruxelles un buon motivo per sorridere in una fase molto complessa.
L’affermazione di Marine Le Pen avrebbe isolato Parigi, interrotto l’intero progetto politico europeo facendo deragliare il già sottile equilibrio su cui poggia l’Unione di fronte alla guerra in Ucraina. Come hanno più volte ribadito in queste settimane gli analisti, la sfida per l’Eliseo vedeva contrapposti due differenti blocchi: non più destra e sinistra, ma «globalisti» contro «patrioti».
Una sfida che potrebbe essere replicata anche in Italia il prossimo anno in occasione delle Politiche. Nei suoi cinque anni in carica il presidente rieletto è stato, pur con qualche sbavatura, uno dei principali alfieri dell’europeismo e in questo incarna le caratteristiche dell’idealtipo di Capo di Stato francese visto che rappresenta uno dei Paesi fondatori dell’Europa unita.
La sfidante, madame Le Pen, negli ultimi dieci anni ha rappresentato in maniera indiscussa la figura guida internazionale del populismo europeo: ha denunciato con forza la perdita di sovranità degli Stati membri a favore di un’entità eurocratica e in maniera instancabile, ha indicato un programma per togliere potere all’Unione in modo da riconsegnarlo ai singoli Stati.
Ma la sconfitta della Le Pen merita una serie di considerazioni forse superiori a quelle da riservare alla vittoria di Macron visto che, nelle ultime due settimane, tutti i sondaggi hanno via via confermato l’allargarsi del suo vantaggio. La sua era ormai un’affermazione attesa.
Interrogarsi, invece, sui numeri della sconfitta dovrebbe essere utile per comprendere come e dove pesca una mentalità di destra che negli anni è stata non semplicemente sovranista, ma anche anti-euro, trumpista, pro Brexit e oggi equidistante sull’Ucraina, parzialmente filo Putin e anti Nato.
Il risultato ottenuto ieri da Marine Le Pen (che diffilmente rivedremo in lizza nel 2027), con quasi 12 milioni di preferenze, è la miglior performance elettorale di sempre di un candidato sovranista in Francia. Questo deve far riflettere sull’elettorato dell’Esagono e sul crescente consenso negli ultimi dieci anni per una sensibilità di destra, nel 2012 la candidata sovranista si era fermata al primo turno con 6,4 milioni di voti, oggi ha più che raddoppiato il suo bacino elettorale. Chi sa parlare a questi francesi? Ma soprattutto in che modo vengono canalizzate queste richieste nelle istituzioni dal punto di vista della rappresentanza?
Anche in Francia abbiamo assistito in questi anni ad una crescente polarizzazione della politica con addirittura fenomeni di piazza dai tratti quasi insurrezionali, come i gilets jaunes (che alle urne hanno scelto principalmente Le Pen o Mélenchon). L’ingegneria costituzionale della V Repubblica insieme al semipresidenzialismo prevede un sistema elettorale maggioritario a doppio turno con collegi uninominali che strutturalmente sbarra la strada agli estremismi.
Questo comporta che all’Assemblea nazionale i rappresentanti del Rassemblement National siano sempre un numero più esiguo rispetto al consenso che la loro leader riesce a concentrare attorno a sé. Nel 2017, dopo essere arrivata al ballottaggio alle successive Legislative, Le Pen ha ottenuto per il suo partito solo otto deputati con quasi tre milioni di voti (con 7,8 milioni di voti distribuiti sui singoli collegi uninominali il partito macronista ne ha conquistati 306). Lo scontro politico, insomma, non si scarica a livello parlamentare e per questo rischia di accrescere ulteriormente una forma di rancore nei confronti di chi governa (lo stesso vale per la sinistra populista di Mélenchon).
Il rancore è il sentimento di cui si nutre il populismo per rafforzare il proprio messaggio antipolitico e, visti i numeri attualli, non può più essere interesse per le forze politiche democratiche continuare a rinfocolarlo. Visto che non si parla di modificare la forma di governo francese, la sfida principale di Macron sarà questa: parlare alla Francia che non si sente rappresentata e che non lo è nemmeno nelle istituzioni. Provare a convincere gli elettori della bontà del progetto europeo, farli ricredere sul fatto che l’ipotesi lepenista di una Europa delle Nazioni sarebbe la fine di un progetto che dovrebbe mettere le nostre democrazie al riparo dalla sfida delle autocrazie. In fondo mettere al riparo i nostri diritti e le nostre libertà da regimi in cui la libertà non esiste, anche a costo di perdere un po’ di sovranità a favore di un’istituzione sovrastatuale come l’Unione europea.
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