Elezioni comunali, salta l'emendamento del centrodestra sul ballottaggio

Salta il tentativo del centrodestra di cancellari i ballottaggi per l’elezione dei sindaci nelle città sopra i 15mila abitanti. Al Senato dopo le barricate minacciate dalle opposizioni, la maggioranza ritira l’emendamento che avrebbe fermato al 40% dei voti (anziché al 50 + 1 di oggi) il tetto necessario per essere eletti.
La norma avrebbe interessato quasi un migliaio di Comuni. Tanti quelli che in Italia contano più di 15 mila abitanti, da Roma in giù e con un bacino complessivo di circa 32 milioni di residenti (fonti Anci).
Esultano alla fine Pd, M5s, Terzo polo e Avs per il rischio di «golpe» vissuto nella commissione Affari costituzionali, e sventato dopo qualche ora. «Sarebbe stato un colpo di mano inaccettabile per introdurre una riforma elettorale ben più ampia, sfruttando l’onda lunga dei consensi che ha ora il centrodestra - è la denuncia delle opposizioni, ricompattate per l’occasione - per cui potrebbero avere facilmente molti più eletti, ma meno rappresentativi».
Paroli: «Percorso di semplificazione»
Per la maggioranza, invece, è solo la proposta di un «tagliando» alla legge attuale, per evitare i costi dei ballottaggi «ma anche il mercato delle vacche», scandisce in Aula il senatore bresciano di Forza Italia e primo firmatario dell’emendamento Adriano Paroli, ribadendo che «in Sicilia già si vota così e funziona». Per Paroli si tratta di un «percorso di semplificazione dell’attuale legge in un momento in cui l’astensionismo è a livelli record e l’obiettivo deve essere portare alle urne il maggior numero di cittadini».
Non solo, come il senatore aveva già avuto modo di spiegare al Giornale di Brescia in un’intervista di gennaio, la semplificazione delle elezioni comunali va inserita in una cornice più ampia che porterà nelle intenzioni del centrodestra anche alla reintroduzione dell’elezione diretta del presidente della Provincia.
Infine, la decisione di ritirare l’emendamento viene motivata da Paroli come una forma di correttezza istituzionale visto che il provvedimento emendato aveva una procedura d’urgenza, possibile solo con un accordo da parte di tutti i gruppi politici. Ma l’intenzione politica di andare in questa direzione resta nel centrodestra. Non a caso, nonostante il ritiro, è il capogruppo leghista Massimiliano Romeo ad annunciare che la modifica sarà riproposta «alla prima occasione possibile. È la volontà della maggioranza».
Cosa prevedeva l'emendamento
Nello specifico il disegno di legge interessato dall’emendamento è quello sul computo dei votanti alle elezioni nei piccoli Comuni, (che modifica Tuel anche sui numeri di sottoscrittori necessari per presentare le liste alle elezioni). Si tratta di un provvedimento votato la scorsa legislatura, decaduto per lo scioglimento delle Camere e ripresentato con la procedura d’urgenza, una prassi prevista dal regolamento del Senato per accelerare l’esame, se tutti i gruppi sono d’accordo.
L’emendamento compare e scompare, di prima mattina a firma Ronzulli e poi all’ora di pranzo a prima firma Paroli, ma anche Tosato (Lega), Lisei (Fratelli d’Italia). Nell’emendamento si stabilisce: «È proclamato eletto sindaco il candidato che ottiene il maggior numero di voti validi, a condizione che abbia conseguito almeno il 40 per cento dei voti validi. Qualora due candidati abbiano entrambi conseguito un risultato pari o superiore al 40 per cento dei voti validi, è proclamato eletto sindaco il candidato che abbia conseguito il maggior numero di voti validi. In caso di parità di voti, è proclamato eletto sindaco il candidato collegato con la lista o con il gruppo di liste per l'elezione del consiglio comunale che ha conseguito la maggiore cifra elettorale complessiva».
È previsto un premio di maggioranza con il 60 per cento dei seggi.
Perché le opposizioni lo hanno contestato
Le opposizioni contestano anche il metodo, che rischierebbe di introdurre un precedente: usare la procedura d’urgenza - è la loro tesi - per forzare la mano e inserire un «emendamento di straforo».
La ratio più politica la denuncia Dario Parrini del Pd: «Oggi il centrodestra è un aggregato che fa più facilmente coalizione al primo turno, quindi ritiene che così potrebbe avere un vantaggio elettorale. È la più pretestuosa e faziosa delle modifiche possibili», tuona.
«Bloccheremo l’emendamento in tutti modi e, male che vada, votiamo contro in aula», si associa la capogruppo del M5s, Barbara Floridia. Si minaccia pure la convocazione d’urgenza della Giunta sul regolamento. Ma nel pomeriggio arriva il dietrofront della maggioranza. Paroli lo spiega: «Visto che la procedura d’urgenza è stata votata da tutti, in segno di rispetto non ci sembrava il caso di forzare la mano». L’aula alla fine approva all’unanimità il ddl, che passa ora alla Camera. Nell’opposizione resta la preoccupazione.
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