Colombo: «Il processo penale non può cambiare il sistema»

«Mani Pulite ci ha insegnato che il processo penale non è lo strumento adatto per fronteggiare delle trasgressività così sistematiche, così organizzate e così ampie. È necessario fare altro». Ne è convinto Gherardo Colombo. All’epoca dell’arresto di Mario Chiesa, Colombo non era ancora a fianco di Di Pietro, ci sarebbe arrivato qualche mese dopo, ad aprile quando ormai «era evidente – ricorda – che ci trovavamo di fronte a un sistema di corruzione con regole molto precise e articolate».
Dottor Colombo, immaginavate che quegli arresti potessero portare al crollo della Prima Repubblica?
Secondo me la fine della Prima Repubblica fu piuttosto una conseguenza della caduta del muro di Berlino. Quell’evento epocale ha rappresentato la fine di quei blocchi di potere che prima avevano impedito di andare a guardare nei cassetti dei reati connessi con lo svolgimento delle funzioni politiche. Tangentopoli sarebbe scoppiata dieci anni prima se le carte della P2 fossero rimaste a Milano, e sette anni prima se fossero rimaste a Milano le carte dei fondi neri dell’Iri. Noi eravamo un paese di confine, il paese della strategia della tensione, delle bombe e delle stragi, che dipendevano moltissimo da quell’assetto politico globale. Caduto il muro di Berlino cambia tutto e viene a galla quello che prima la stessa magistratura impediva che emergesse. La Cassazione decideva che tutto doveva andare a Roma, dove si perdevano le tracce delle cose rilevanti. Si è molto discusso del metodo degli arresti preventivi.
Erano proprio necessari?
In due anni abbiamo chiesto al giudice circa 900 applicazioni di custodia cautelare in carcere. A Milano allora tutti i giorni entravano a San Vittore almeno 30 persone per altri reati: spaccio di droga o furto di un’auto. Sono circa 10mila persone ogni anno, a fronte di 450 richieste di arresto per Mani Pulite, facendo la media. Per reati ben più gravi: appalti truccati per esempio. Prima di Mani Pulite un chilometro di metropolitana costava circa 80 miliardi di lire. Dopo, circa 45. Purtroppo in Italia si pensa che la giustizia penale valga soltanto per i reati da strada e per i reati di sangue e per tutto il resto no.
La stagione di Tangentopoli è stata attraversata da molti suicidi. Come avete vissuto quelle vicende?
Nelle nostre indagini sono stati cinque. Va detto che anche solo un suicidio sarebbe stato insopportabile. Vale la pena ricordare, però, che dal primo gennaio di quest’anno ad oggi in carcere si sono suicidate 12 persone e nessuno ne parla. Non si può addebitare a Mani pulite quel che non viene visto in generale. In quell’indagine furono coinvolte migliaia di persone. Come si fa a pensare che cinque di queste potessero suicidarsi. Piuttosto credo che sia il sistema complessivo che ha causato queste cose, tra cui non è da sottovalutare la tendenza a sbattere il mostro in prima pagina. Che è una cosa che succede anche adesso. Ha detto che il processo penale non è lo strumento adatto per fronteggiare questo sistema corruttivo.
Cosa potrebbe esserlo?
A luglio del ‘92 avevo fatto una proposta: se restituisci ciò di cui ti sei appropriato e ti allontani per un tempo ragionevole dalla vita pubblica, non vai a processo. È una strada che non si è voluto praticare, forse perché sarebbe emerso molto più di quello che abbiamo scoperto noi. Io credo che sia così.
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