Italia e Estero

C'erano una volta le regioni rosse

E adesso non ci sono più, anzi: Emilia Romagna, Marche, Toscana e Umbria sono terra di conquista per Lega e M5S.
Operazioni di scrutinio alle ultime elezioni - Foto Ansa/Giuseppe Lami
Operazioni di scrutinio alle ultime elezioni - Foto Ansa/Giuseppe Lami
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C'erano una volta le regioni rosse, per 60 anni feudi della sinistra e territori inviolabili per tutti gli altri. Città e campagne che, nonostante qualche cedimento negli anni - l'elezione nel 1999 di Giorgio Guazzaloga a sindaco di Bologna fu il primo, vero, «tradimento» - dal 1948 hanno sempre risposto presente alla chiamata della sinistra. 

Fino al 4 marzo. L'analisi dell'Istituto Cattaneo sui flussi elettorali in Emilia Romagna, Toscana, Marche e Umbria è impietosa e, allo stesso tempo, indicativa dell'involuzione di una tradizione politica: «Nelle 4 regioni un tempo colorate politicamente di rosso dal 1948 ad oggi, l'area dei partiti di centrosinistra ha perso quasi trenta punti percentuali, passando dal 59,2% dei voti del 1968 all'attuale 30,1%». 

In realtà, già nelle elezioni del 2013 che hanno visto per la prima volta i Cinque Stelle in campo, più di un segnale si era registrato e l'egemonia culturale della sinistra aveva mostrato le prime crepe. Ma è con il voto di domenica, dicono gli esperti, che si assiste «per la prima volta a due fenomeni che segnano la definitiva scomparsa di tale monopolio». 

Il primo è la caduta del Pd: con 1.617.748 voti tra Marche, Emilia Romagna, Toscana e Umbria, perde il posto di primo partito a favore del M5s, che ha preso 1.682.365 voti. Tracollo da cui dipende direttamente il secondo fenomeno: il sorpasso, anche in questo caso per la prima volta, del centrodestra - sia in termini assoluti che percentuali - sul centrosinistra. Unica, magra consolazione, il risultato della Toscana, unica delle quattro regioni a non voltare del tutto le spalle: il Pd è ancora il primo partito, ma rispetto al 2013 perde oltre duecentomila voti. 

Il crollo nei feudi storici, dice ancora l'Istituto Cattaneo, è «legato indissolubilmente» alla progressiva perdita di voti del Pd. Che fine hanno fatto? La maggior parte se li è presi il M5s, il resto se lo sono diviso i fratelli-nemici di Liberi e Uguali e, in alcune città come Bologna, Ferrara, Parma e Perugia, la Lega. 

L'altro elemento che ha pesato è stata l'astensione: «In media, più di un elettore del Pd su 10 non si è recato alle urne nel 2018». La sfida fratricida con LeU, inoltre, «ha finito per disorientare e alla fine demotivare una quota consistente dell'elettorato» e non ha prodotto vantaggi per nessuno dei due contendenti: «La scissione all'interno del Pd non ha comportato un'espansione dell'elettorato del centro sinistra, ma una sua ulteriore riduzione». 

La conclusione dell'Istituto Cattaneo non può essere che una: «Il predominio elettorale dei partiti di sinistra e centrosinistra si è concluso». Una fine che si porta dietro oltre al danno anche una beffa: le regioni rosse, una volta blindate, sono oggi «l'area geopolitica caratterizzata da maggior competizione», dove «il mercato elettorale è più incerto» e «aperto a nuove proposte politiche». Da feudi a terre di conquista.

 

 

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