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Agenti assolti dal reato di tortura, la Procura fa appello

Incappucciato con un federa, messo pancia a terra con uno sgambetto e poi preso a pugni sul volto e sul costato, calpestato con gli scarponi, trattenuto alcuni minuti per braccia e gambe dagli agenti della polizia penitenziaria. Poi denudato e sollevato di peso, sempre col cappuccio in testa, fino ad essere trascinato in cella, Il pestaggio subito da un 40enne detenuto tunisino, il 3 aprile in un corridoio di un carcere italiano, l'istituto di Reggio Emilia, è documentato dai video delle telecamere interne, finiti agli atti dell'inchiesta chiusa dalla Procura reggiana a carico di 10 agenti, otto accusati di tortura, 9 Febbraio 2024. ANSA/PENITENZIARIA
Incappucciato con un federa, messo pancia a terra con uno sgambetto e poi preso a pugni sul volto e sul costato, calpestato con gli scarponi, trattenuto alcuni minuti per braccia e gambe dagli agenti della polizia penitenziaria. Poi denudato e sollevato di peso, sempre col cappuccio in testa, fino ad essere trascinato in cella, Il pestaggio subito da un 40enne detenuto tunisino, il 3 aprile in un corridoio di un carcere italiano, l'istituto di Reggio Emilia, è documentato dai video delle telecamere interne, finiti agli atti dell'inchiesta chiusa dalla Procura reggiana a carico di 10 agenti, otto accusati di tortura, 9 Febbraio 2024. ANSA/PENITENZIARIA
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BOLOGNA, 21 MAG - La Procura di Reggio Emilia e l'avvocato Luca Sebastiani, difensore parte civile per il detenuto vittima del pestaggio subito in carcere il 3 aprile 2023, hanno depositato gli atti di appello contro la sentenza del Gup Silvia Guareschi che il 17 febbraio ha condannato dieci agenti di polizia penitenziaria, non riconoscendo però, diversamente da quanto ipotizzava la pubblica accusa, il reato di tortura, né le lesioni. Risultato: la pena più alta inflitta è stata di due anni, a fronte di richieste del pm Maria Rita Pantani che arrivavano fino a cinque anni e otto mesi. Ora Procura e parte civile hanno impugnato proprio sulla qualificazione giuridica del fatto. Nella sentenza, la giudice aveva sostenuto tra l'altro che le condotte contestate agli imputati "non si erano dimostrate atti di violenza gratuita" e quindi non si configurava la tortura. Il pestaggio era stato documentato da un video delle telecamere di sorveglianza interne al carcere. Immagini in cui si vede il detenuto tunisino incapucciato con una federa, picchiato e denudato in un corridoio da un gruppo di agenti e poisollevato di peso e portato in cella. Per il giudice dell'abbreviato, invece che tortura e lesioni, sussistono i reati di abuso di autorità contro detenuto in concorso e cioè "l'avvenuta alterazione del trattamento legale" e le percosse, oltre alla falsità ideologica per tre relazioni di servizio non veritiere, contestata ad altrettanti agenti. La partita si rigiocherà davanti alla Corte di appello.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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