Chiamiamoli farmaci equivalenti

Le parole non soltanto raccontano la realtà: contribuiscono a crearla. Lo sa bene chi è sensibile alla parità di genere e se la prende se si chiama sindaco la sindaca o avvocato l’avvocata (e non dite che in italiano è sempre stato al maschile: nella preghiera del Salve Regina, la tradizione medioevale definisce Maria «avvocata nostra»).
Ora, tornando ad argomenti meno divisivi ma egualmente rilevanti, registriamo la presa di posizione di medici e farmacisti che chiedono di non chiamare più i farmaci non di marca «generici», preferendo il termine «equivalenti».
Averli chiamati «generici» infatti, a sentir loro, ha contribuito ad affossare quella piccola rivoluzione proletaria che si proponeva di farci spendere meno soldi a patto di non richiedere Aulin, Tachipirina, Aspirina, Brufen, bensì nimesulide, paracetamolo, acido acetilsalicilico, ibuprofene...
La palla passa dunque a noi, che tuttavia restiamo sospesi tra il desiderio di contribuire a una buona causa e la necessità di farci capire. Che il giornalista è proprio il contrario del farmacista, altrimenti scriveremmo che il Comune ha fatto «capitozzare» le piante, invece di potarle, oppure «bacini imbriferi» e non laghetti creati dall’acqua piovana. Forse però, considerata la buona causa, per i farmaci «equivalenti» un’eccezione da domani potremmo farla.
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