Comunicato Stampa: "Magie. Racconti quasi verosimili", un libro che trasforma la realtà in un incantesimo sussurrato

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C’è un momento in cui l’ordinarioinizia a tremare sotto i nostri occhi: è lì che inizia lamagia, parola antica, derivata dal greco mageía, che a sua volta si rifaceva ai Magoi persiani, i sacerdoti sapienti, astronomi e astrologi, coloro che conoscevano i segreti nascosti sotto la crosta del mondo. Magia, dunque, non come spettacolo o inganno, ma come sapere che agisce sull’invisibile, comelinguaggio che afferra l’ambiguo e lo restituisce alla forma.
Neiracconti “quasi verosimili”diGuido Salvadori del Prato, raccolti nel libro“Magie” (Europa Edizioni) la magia si insinua tra le fessure nel reale: nei gesti più semplici si rivela la chiave di accesso a un universo dove le leggi note si piegano, si incrinano, si fanno altre. La grande tradizione del racconto meraviglioso, da Hoffmann a Borges, da Poe a Buzzati, rivive qui con una sobrietà quasi notarile, come se l’autore, come l’incantatore, fosse l’unico in grado di registrare i prodigi senza farsene incantare.
Il titolo stesso è una dichiarazione di poetica. “Magie”, al plurale, rinvia a un universo in cuiil meraviglioso è un elemento diffuso, insinuato nei riti quotidiani. Ma è nel sottotitolo, "Racconti quasi verosimili", che si cela la chiave epistemologica dell’opera: quel "quasi" è un avverbio corrosivo, una lama sottile che scolla la realtà dalle sue certezze. Il “quasi” non mente, ma nemmeno giura: si limita a insinuare, a lasciare una porta socchiusa.
La scrittura di Salvadori, densa e chirurgica, non indulge mai all’effetto. I suoi personaggi, tutti privi di nome, designati da una semplice iniziale, si muovono inambienti riconoscibili, ma il loro destino è costantemente trafitto da unavariabile impossibile: una carta che predice il futuro, una pergamena che legge il mondo, un pendolino che sa rispondere senza parlare. Più che racconti, sono teoremi narrativi, dove l’ambiguità è strutturale. Salvadori non vuole stupire, vuole disorientare. E nel farlo, ci costringe a chiederci se ciò che consideriamo reale non sia, in fondo, una convenzione più fragile di quanto osiamo ammettere.
La raccolta "Magie. Racconti quasi verosimili" si compone dinove racconti autonomi, ma profondamente coerenti sotto il profilo dello sguardo autoriale: una visione del mondo che potremmo definirescetticamente incantata. Ogni testo si regge in equilibrio su un punto cieco del reale, là dove le leggi fisiche sembrano subire una lieve, quasi impercettibile alterazione. E tuttavia non ci troviamo in un universo immaginifico o mitopoietico: qui nulla esplode, tutto si insinua.
Iprotagonistisono individui comuni, uomini del nostro tempo immersi nel prosaico. L’anonimia onomastica è una forma di astrazione, secondo cui l’autore li spoglia del nome per renderli meno personaggi e più funzioni cognitive. Essi agiscono come operatori narrativi, strumenti attraverso i quali il mondo viene osservato, messo in dubbio, reinterpretato. Il lettore si identifica non con la loro psicologia, ma con la loro perplessità.
La forza del libro è quella che potremmo chiamarestraordinario plausibile. Salvadori del Prato piega appena il reale, con una gentilezza perturbante: gli elementi domestici improvvisamente diventano interruttori narrativi. Basta sfiorarli perché il racconto inizi a deviare, non verso l’impossibile, ma verso il logicamente inatteso.
Questa forma di meraviglia si comportacome se fosse sempre stata lì, accanto a noi, ma nessuno ci avesse fatto caso. La magia, qui, non è rottura dell’ordine, ma la sua più rigorosa conseguenza: è un ordine altro, coerente con sé stesso. In questo senso, Salvadori si avvicina più a Borges che a Lovecraft: il suo non è un soprannaturale dell’abisso, ma della carta millimetrata. 
La scelta di unlinguaggiocosìsorvegliato è tutt’altro che neutra: è il dispositivo retorico che rende l’inverosimile non solo accettabile, maplausibile. Le descrizioni tecniche delle carte da gioco, le lunghe dissertazioni sui pendolini e sulla radioestesia, le spiegazioni filologiche delle Tavole Alfonsine, le distinzioni chimiche tra spinello e rubino: tutto viene presentato con una serietà inossidabile. Il risultato è un effetto ipermimetico: ciò che è inventato appare più realistico del reale, come in certi quadri iperrealisti dove una goccia d’acqua finta sembra più vera della pioggia.
Salvadori trasforma la lingua della certezza nella voce narrante dell’incertezza. La verosimiglianza si fa maschera del meraviglioso e il lettore si scopre sedotto proprio da ciò che dovrebbe rassicurarlo. Non è la magia a forzare il reale: è la realtà, trattata con zelo, che finisce per diventare magica.
Gli oggetti disseminati tra le pagine di questa raccolta sembrano totem narrativi, catalizzatori del possibile, nuclei opachi attorno ai quali la realtà si avvita e si trasforma. L’asso di picchepredice il futuro con ironia crudele. Ilpendolino nuragicodistingue verità da menzogna, ma solo se interrogato da chi sa pensare per immagini. Ilrubino, o meglio lo spinello rosso, cresce se immerso in una soluzione e nutrito di pensiero positivo, secondo una logica alchemica tanto bizzarra quanto sorprendentemente efficace. E ilquadro, nascosto sotto una tela di Giacinto Gigante, affiora grazie a un sogno indotto da una dieta improbabile e pericolosa.
In ognuno di questi casi, l’oggetto diventa un'interfaccia:una soglia fra il visibile e ciò che potrebbe accadere. Chiede, implicitamente,un atto di fede: il lettore deve credere che quell’oggetto, per quanto umile, disadorno e irrilevante, sia il punto in cui la logica del reale si piega e si riscrive. Salvadori ci induce a crederlo, così il mondo, senza dichiararlo, si trasforma. E noi, senza accorgercene, abbiamo già oltrepassato la soglia.
Guido Salvadori del Prato rinuncia consapevolmente a ogni impalcatura morale. Non c’è redenzione per chi viola il mistero, né punizione esemplare per chi lo sfrutta. C’è solo una continua, sottilealterazione del piano del reale, come se lo scopo della narrazione fosse spostare il centro gravitazionale del mondo, non dare risposte su come abitarlo. Ogni racconto è un dispositivo narrativo volto a far emergere l’ambiguità dell’esperienza: la parte in ombra, quella che le spiegazioni razionali sorvolano e in cui la coincidenza non è più solo statistica e l’errore non è più soltanto umano. È in questo margine che si genera il perturbante: quando il lettore si accorge che non c’è alcuna regola definitiva a cui appellarsi. 
È questo che resta, alla fine di ogni racconto:un senso di vertigine dolceamara, la percezione che il mondo sia più vasto e più indifferente di quanto credevamo. E che l’unico modo di attraversarlo sia accettare, senza giudizio, la sua irriducibilecomplessità.
Si intravede anche un’antica ambizione alchemica che attraversa le pagine del libro: latrasmutazione. Non dei metalli in oro, ma del quotidiano in enigma, del probabile in impossibile. Come gli alchimisti manipolavano sostanze opache nel tentativo di estrarne la quintessenza, così Salvadori lavora sul linguaggio, sulle abitudini, sui dettagli minimi della realtà per provocare un salto qualitativo, un cambiamento di stato. Il racconto breve diventa, in questa prospettiva, un vero laboratorio alchemico: ambiente chiuso, regole precise, un esperimento a ogni tentativo.
Forse la verità è che la magia non arriva mai:c’è sempre stata, nascosta tra le pieghe del quotidiano. I racconti di "Magie" non ci chiedono di sospendere l’incredulità, ma solo di abbassare la voce, di ascoltare e di accettare che la realtà, anche quando tace, stia sussurrando qualcosa.

 

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