Comunicato Stampa: "L’albero blu", un romanzo tra il reale e l'onirico in cui la guerra interiore precede il fronte

Nel corridoio improvvisato di un ospedale da campola guerranon ha bisogno di grandi scene: basta una brandina, un odore acido di disinfettante che non vince il sangue, e un uomo che chiede a un altro uomo di prestargli la mano.Un uomo, febbricitante, una gamba amputata che non smette di farsi sentire come se fosse ancora lì, vuoledettare una letteraa sua moglie, Elisabeth.Frank, che in quell’inferno ha imparato a passare tra le cose come se fosse “di servizio” alla vita residua degli altri, diventa lo scrivano. Ed è qui che il romanzo"L'albero blu"diClaudia Terenzi(Gruppo Albatros il Filo) compie la sua prima mossa intelligente: invece di gridare, abbassa la voce. Non ci chiede di guardare l’esplosione; ci costringe ad ascoltare ciò che resta quando l’esplosione è già passata.
"L’albero blu" non è un romanzo bellico che cerca l'azione sopra ogni sentimento, ma piuttostouna confessione organizzata. La cornice è un dialogo che sembra pratico, ma che presto si trasforma in un dispositivo narrativo che libera la memoria. La lettera per Elisabeth è l’esca, il pretesto: a un certo punto capiamo che ciò che Frank sta davvero dettando non è solo un messaggio per una moglie lontana, ma la propria identità, pezzo dopo pezzo, come chi ricompone un corpo dopo un trauma.
La struttura regge sutre pianiche si alternano e si intrecciano: il presente dell’ospedale e del fronte; il passato di un ragazzo che prima ancora della guerra ha conosciuto la perdita; e infine la dimensione del sogno, dove appare una donna, legata a quell’immagine-soglia che dà titolo al romanzo: una quercia folta e blu, un albero che non esiste nel mondo reale ma che nel mondo interiore diventa più concreto della terra. Quiil sogno è un’altra forma di realtà, l’unica che Frank riesce a sopportare quando la realtà ufficiale diventa insostenibile. Se il fronte è il luogo dove si obbedisce, l’albero blu è il luogo dove si confessa.
La scelta di far nascere il racconto dentro un atto di scrittura, ovvero la lettera dettata, è ancheuna scelta di civiltà. In guerra la persona rischia di ridursi a funzione: soldato, ferito, caporale, cadavere. La lettera, invece, restituisce un nome e una relazione: “Elisabeth”, “io”, “noi”. L'uomo in fin di vita diventa l’interlocutore necessario: ascolta e, ascoltando, autorizza. In termini narrativi, è il testimone. In termini umani, è la prova che persino in un luogo dove tutto è rotto può esistere un gesto di cura: prestare attenzione. La confessione di Frank non nasce da un monologo estetico, ma da una conversazione tra due uomini che hanno visto troppo e non sanno più come dirlo.
Quando Frank torna alpassato, il romanzo cambia temperatura ma non direzione. C’è una casa di periferia, i genitori, e soprattuttola nonna materna: il primo grande legame, quello che dà forma all’idea stessa di protezione. Il giorno in cui la nonna confessa di essere malata è l’inizio di una grammatica del dolore. Da quel momento, Frank impara che le parole possono contenere una sentenza e che la vita può cambiare anche senza fare rumore. Poi arriva la perdita violenta della famiglia, un crollo che lo lascia senza riparo, senza economia, senza adulti che sappiano davvero sostenere il peso, e la pagina, qui, diventa impietosa: Frank scopre la vergogna del dover contare i soldi persino per seppellire i morti, come se la società, oltre a toglierti ciò che ami, pretendesse anche la contabilità del lutto. È in questo punto che si forma la sua idea di essere sacrificabile. Prima ancora di indossare una divisa, Frank ha interiorizzato la sensazione di poter sparire senza che il mondo si fermi.
In questa crepa entraRay. All’inizio Ray è il suo riparo puro: l’amico che gli offre una famiglia quando la sua viene meno. È anche, per Frank, una possibilità di definizione: se non so più chi sono, posso essere almeno “quello di Ray”. Ma la guerra, come spesso accade, non distrugge soltanto i corpi: riorganizza i ruoli. Ray diventa Capitano, e il legame cambia lingua. La stessa mano che prima tirava su Frank ora può indicare un ordine, scegliere chi va oltre il filo spinato, decidere che cosa è necessario e che cosa può essere lasciato indietro. Il romanzo non ha bisogno di prediche sulla disumanizzazione: la mette in scena dentro un rapporto affettivo. È qui che "L’albero blu" trova uno dei suoi nervi più contemporanei: mostra come il potere non arrivi sempre dall’esterno, ma si infiltri nelle relazioni, trasformando l’intimità in gerarchia.
Ed è a questo punto che entraCherry, o meglio: che capiamo che Cherry c’è sempre stata. Nei sogni Frank incontra questa ragazza sotto l’albero blu e, con lei, vive un amore totale, quasi pre-umano, come se il corpo e la mente si fossero inventati una stanza segreta per continuare a respirare. Cherry gli parla didue anime, una nera che conserva gli incubi, una bianca che rincorre i sogni, e la metafora, pur semplice, funziona nel suo incarnare una psicologia narrata. La sua verità non concede sconti:non puoi scegliere solo la parte luminosa. Se tagli via l’ombra, tagli via anche la tua capacità di restare umano. Cherry, in questo senso, non è l’angelo consolatore; è la custode del paradosso. L’albero blu è un luogo mentale dove Frank paga un prezzo, perché se il sogno ti salva, può anche trattenerti. Il romanzo gioca su questa ambivalenza senza scioglierla in morale: la salvezza, qui, è sempre contaminata.
Lascrittura di Terenzisegue questo movimento: quando siamo al fronte, tende a farsi più scarna, più fisica, più inchiodata alle azioni necessarie; quando siamo nel passato o nel sogno, si distende e cerca un ritmo diverso, come se la lingua stessa dovesse cambiare passo per sopportare ciò che racconta. Èun romanzo che lavora per contrasti: corpo e mente, fango e stelle, ordine e desiderio. E soprattutto lavora sul tema dellacomunicazione interrotta: lettere che si dettano perché non si ha più la forza di scriverle; confessioni che arrivano tardi; silenzi che sembrano protezione e invece diventano trappola. Il non detto è una tecnologia narrativa, il modo in cui la storia crea tensione e, insieme, il modo in cui i personaggi si difendono dal crollo.
Quando Ray e Frank guardano le stelle, e qualcosa finalmente viene confessato, non assistiamo a una liberazione trionfale. Assistiamo a un atto significativo:dire la veritànel momento in cui la veritànon può più cambiare gli eventi, mapuò cambiare il senso degli eventi. È qui che il romanzo mostra una consapevolezza adulta: le parole non salvano la vita, masalvano la lettura della vita. Possono arrivare quando ormai il corpo è già stato ferito, e tuttavia restano necessarie perché senza di esse il dolore resterebbe soltanto dolore, privo di forma, quindi infinito.
Il finale, al di là della commozione, cerca una quiete spietata. Come se la pace, in questo romanzo, non fosse la fine della guerra mala fine dell’obbedienza al trauma. Non è una riconciliazione col mondo: è una sospensione del comando che il dolore esercita. E qui, forse, sta la domanda più seria che "L’albero blu" lascia al lettore: si sopravvive perché si ama, o si ama per sopravvivere? La risposta non viene scritta, ma resta nella scena originaria, quella della lettera: due uomini in un ospedale da campo, uno che detta e uno che scrive, mentre fuori la guerra continua e dentro, per un attimo, qualcuno prova a rimettere insieme i pezzi con l’unico strumento che ha a disposizione: le parole.
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