Comunicato Stampa: “La leggenda del pescatore pentito”, l’epica del mare che insegna a disarmarsi e rinascere

Non c’è nulla di più eloquente del silenzio diun fondale marino. Tocca al marinaio esperto decifrare i segnali del proprio interlocutore, sapendo chequella lingua si impara per amore. E l’amore, si sa, chiede tutto: responsabilità, cura, dedizione, talvolta sacrificio. Chi il mare lo conosce e lo ama non può staccarsene. Lo avverte come una presenza che somiglia a un dio, imperscrutabile nelle decisioni e assoluto nelle conseguenze. A questa schiera dichiara di appartenereCarlo Farina Dusmet, autore del romanzo “La leggenda del pescatore pentito”, edito dalGruppo Albatros il Filo. Tra le sue pagine, affidando la propria esperienza a un protagonista d’invenzione, traccia i contorni di “una profonda metamorfosi etica, da pescatore a protettore dell’ambiente marino”.
Anche per questo “La leggenda del pescatore pentito” arriva con un sigillo di attualità: il riconoscimento delsecondo premio dalla quinta edizione del premio “Le Pagine della Terra”. A conferire il riconoscimento, lo scorso 13 ottobre, una giuria presieduta daErmete Realacci, presidente della Fondazione Symbola e presidente onorario di Legambiente, edEnrico Vanzina, regista, produttore cinematografico, sceneggiatore e scrittore.
Il pescatore del titolo è Sergio,chirurgodi talento eapneistacompulsivo, educato all’idea dicontrollare tutto:dalla sala operatoria al respiro sott’acqua, fino a convincersi di poter influire sulla propria stessa fortuna. Il suo itinerario comincia nel culto della performance, ma sfocia, invece, in un annaspante apprendistato alla fragilità. La pesca è per l'uomo e i suoi amici un vero e propriorituale, fatto di gesti ripetuti, preparativi e luoghi segreti, al limite del proibito. Per lui l’adrenalina delle immersioni in apnea, che richiedono la tecnica e il controllo che soltanto l’esperienza è in grado di concedere, è parte essenziale e irrinunciabile della sua esistenza, il giusto premio da riscuotere dopo intense settimane di lavoro. Unincidente subacqueo, causato dall’avere osato più di quanto il proprio corpo gli permettesse, segna tuttavia il punto zero del travaglio interiore dell’uomo e lo obbliga a chiedersi chi sia, cosa debba riparare, cosa significhi davvero "salvare". Un altro, ancora più grave, metterà a rischio la sua stessa sopravvivenza e gli imporrà di smettere di nascondersi dietro le sue stesse illusioni.
Non è il mare a punire Sergio, bensì la hybris umana. La propria e quella degli uomini che intendono fare da padroni tra le sue acque. Il modo in cui il mare sceglie di scuotere il chirurgo è, al contrario, gentile: sarà l’incontro conuna cernia piccolissima, lunga poco meno di cinque centimetri, a mettere in discussione la visione che il medico ha della natura e dei suoi abitanti. Si diramano, da qui, lunghe riflessioni suldoppio standard con il quale vengono trattati gli animali di terra e del mare: il protagonista si sorprende, infatti, di come la stessa empatia e dolcezza che si prova nei confronti di un cane o di un agnellino non venga riservata alle creature marine, arrovellandosi sui motivi di questa abitudine.
L’uomo ricorda di quando, da bambino, aveva chiesto al padrese i pesci soffrissero. La risposta, che negava questa sofferenza, riconducendola al loro “sistema nervoso primitivo”, lo assolve in un primo momento, ma gli presenta il conto da adulto. Sergio si chiede: “Se non provavo amore per gli animali, tutti gli animali, come potevo provare amore verso i miei simili? Eppure i miei pazienti li amavo, mi accanivo nel curarli. Non ho mai sopportato il loro dolore. Era come se lo sentissi su di me e avrei fatto l’impossibile per loro. Solo apparenza? Curavo per la mia personale soddisfazione? O per alleviare le loro sofferenze? Cercavo solo gratificazioni per alimentare la mia ambizione e per raggiungere un successo? Come sott’acqua? Cercando la fama, un altro trofeo, superando qualsiasi compromesso pur di raggiungerlo?”.
Il percorso di maturazione del protagonista parte dal mare per riverberare in ogni aspetto della sua vita. La stessa cecità che ritiene di aver avuto nei confronti delle creature marine riconosce di averla provata verso le persone che ama, dandole per scontate o servendosene per farne sfoggio. Ad aprirgli gli occhi sarà proprio la cernia Cecilia, "ospite d'onore" del suo acquario e ormai. Sarà lei, con i suoi gesti eloquenti, a permettergli di vedere la bellezza e l’amore anche dove prima non riusciva a scorgerli. Ha del prodigioso il modo in cui i due, ascoltandosi sinceramente, riescono a comunicare: lei si nutre soltanto se a offrirle il cibo è lui, bussa al vetro dell’acquario ed esige le sue attenzioni, che l’uomo, come farebbe con un cane o un gatto, le rivolge. Sergio scopre non solo che Cecilia ha dei sentimenti, ma che forse lui aveva nascosto i propri troppo a lungo.
Il taglio narrativo del romanzostrizza l’occhio alla drammaturgia, con i suoi colori vividi e i colpi di scena che interrompono l’azione per aumentarne la tensione. La lettura procede fluida, ma lo sguardo del lettore sa di dover rimanere sempre vigile, come il marinaio esperto che solca i mari, perché così come non è possibile prevedere esattamente da dove partirà la prossima tempesta, allo stesso modo un colpo di scena potrebbe sopraggiungere da un momento all’altro, cambiando il ritmo della narrazione e modificandone i paradigmi.
Sergio, nel suo tentativo di riappacificarsi con il mare e con sé stesso, sceglie di partire dalla terra. Affronta il cammino di Santiagocome esercizio di sottrazione, nel quale lascia indietro il superfluo, affida il pensiero al ritmo dei passi e ascolta ciò che resta quando il rumore si spegne. La suaspiritualità contrastataè il retaggio di un rifiuto radicato già dall’età adolescenziale, in un atto che, nel tentativo di esaltare lo spirito critico individuale, si ribella verso un sistema del quale non si comprendono le regole. Il cammino del protagonista nasce dunque come spirituale, ma non religioso, sebbene permetta di comprendere quanto il trascendente possa manifestarsi nel terreno e purificare l'anima anche al di là del dogmatismo.
La lucidità dello sguardo del protagonista racconta quanto contilasciarsi guidare dalle domandeche affiorano dentro di sé, senza rifugiarsi in risposte facili o di comodo. Dalle sue riflessioni emerge come la sensibilità che gli era propria si fosse a lungo piegata ai ritmi e alle esigenze della società,relegando i dubbi in un cassetto, finché le risposte degli altri non sono diventate anche le sue. Il lettore affronta con lui un cammino di scoperta e riscoperta, el’età matura del protagonista rende tutto ancora più eloquente: per quanto a lungo ci siamo raccontati le stesse storie, c’è sempre la possibilità di cambiare rotta e dirigersi verso la direzione più autentica della propria vita.
“La leggenda del pescatore pentito”è un romanzo che intrecciala meraviglia dell’avventura con un’epica dichiaratamente moderna. La hybris del protagonista non cerca riscatto in gesta clamorose, ma inun itinerario interiore che riconduce all’amore. E il mare, dio con cui dialogare e da cui continuare a guardarsi con timore, resta l’unico capace diorientare la rinascita e portarla a compimento.
In controluce affiora la domanda, semplice e abissale, che guida la prosa di Carlo Farina Dusmet:quanto costa cambiare?La redenzione, se esiste, abita la manutenzione del quotidiano: rinunciare all'espessione del potere per riconoscere la validità dell'altro, anche quando questi ha branchie e pinne. Resta una consegna: il mare non perdona e non dimentica, ma a volte, quando smettiamo di trattarlo come cosa, ci presta per un istante le sue branchie. E torniamo a respirare.
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