Comunicato Stampa: "Il cavaliere di Uruk": un romanzo simbolico tra sogno e coscienza, alla ricerca dell’unità perduta

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"Il cavaliere di Uruk" diMassimo Giaveri è un’opera ibrida pubblicata dalGruppo Albatros il Filo, impossibile da etichettare in un solo genere, e per questo capace di sorprendere il lettore che vi si addentra. Il titolo può suggerire un romanzo epico o fantasy, ma fin dalle prime pagine si capisce che l’autore ambisce a molto di più:non a raccontare una storia, ma a esplorare l’esistenza, il mistero, la spiritualità dell’uomo contemporaneo. L’opera si muove tra il saggio filosofico, il memoir, l’allegoria narrativa e il simbolismo esoterico, componendoun mosaico denso di significati, pensieri e riflessioni che si fanno racconto nella seconda parte, senza mai perdere la vocazione speculativa che la anima fin dall’inizio.
Andrea, figura centrale del testo, è l’alter ego dell’autore,un uomo normale, colto, stanco ma non domo, che vive la tensione interiore tra realtà e sogno. La sua voce è lo specchio di una generazione, o forse di un’intera umanità, affaticata dalla banalità dell’oggi e bisognosa di un progetto unificatore, spirituale, che riconcili l’individuo con l’universo. Giaveri mette in scena questo bisogno di senso attraverso un percorso inizialmente teorico e poi via via sempre più narrativo e simbolico, fino a trasformare il discorso in una parabola allegorica che prende atto in un castello della Transilvania.
Nella prima parte del libro domina l’elemento filosofico:i sogni vengono analizzati come strumenti per comprendere la vita interiore, la società viene criticata per il suo narcisismo spettacolarizzato, e i concetti di Fede, Speranza e Carità vengono reinterpretati come risorse laiche per la sopravvivenza morale dell’individuo. In questo segmento, l’autore elabora una teoria semi-matematica della valutazione dei sogni, ironica e profonda al tempo stesso, ecerca nelle immagini oniriche la chiave per decifrare la nostra confusione esistenziale.
“Ma possiamo anche pensare al sonno notturno come un territorio neutro situato tra due giornate di vita. Una sorta di nebbia evanescente in cui le frasi musicali, che costituiscono la sinfonia della nostra esistenza sono tenute separate da pause silenziose. In realtà la nostra mente non dorme mai. Vigila su di noi anche di notte, come una sentinella discreta e invisibile. Liberata dal peso delle percezioni, che è costretta a decifrare quotidianamente, essa si dedica al suo passatempo preferito: fantasticare. La notte è quindi il suo ambito preferito. Inutile quindi ricercare i sogni nel riposino pomeridiano. È la notte il regno dei sognatori. Così come degli artisti”, racconta l’autore.
La svolta si verifica con l’ingresso in scena diSandro, l’“ultimo Cavaliere della Confraternita di Uruk”, che convocaundici persone da ogni parte del mondo in un castello isolato della Transilvania. Questo nuovo scenario non è più un semplice sfondo simbolico: si fa narrazione vera e propria,costruita su elementi fantastici, esoterici e filosofici, in cui ogni personaggio rappresenta un tipo umano, una condizione spirituale, un frammento del mondo da ricomporre. L'obiettivo è audace:fermare il tempo e ricostruire l’unità tra l’uomo e l’universo, tra la materia e la beatitudine perduta. È qui che la componente allegorica esplode:non siamo in un’avventura fantasy, ma in un esperimento narrativo dove ogni azione ha un valore simbolico,ogni oggetto una risonanza metafisica.
La legge della medaglia– elemento centrale nel progetto del Cavaliere – guida i personaggi attraverso una forma di purificazione interiore. Gli ospiti del castello si confrontano con le proprie ombre, vengono messi di fronte ai propri limiti e al peso del proprio ego.Sembra di assistere a un rito iniziatico, un cammino di espiazione e di rinascita, in cui la tecnologia evocata non ha nulla di fantascientifico, ma è un meccanismo interiore, un catalizzatore del cambiamento umano. Non manca una certa teatralità, a tratti volutamente sopra le righe, ma sempre funzionale al messaggio dell’autore:la salvezza non è un premio, ma una conquista spirituale, una riconnessione con il tutto.
Giaveri non nasconde mai la sua ambizione:vuole far pensare, scuotere, dialogare con il lettore in modo diretto, anche provocatorio, e per farlo attinge a un vastissimo patrimonio di riferimenti: Shakespeare, Pascal, Sant’Agostino, la Bibbia, Freud, i Vangeli, la scienza, l’astrologia, la storia sacra e profana. La sua cultura è vasta, ma mai sterile:ogni citazione è usata come appiglio per costruire un discorso più grande, che travalica il sapere e tocca le corde dell’anima. Il linguaggio può apparire a tratti ridondante o didascalico, ma ciò è frutto diuna passione autenticaper la ricerca del senso, e di un bisogno quasi urgente di comunicare ciò che è stato scoperto, intuito, forse sognato.
Nel passaggio dalla parte riflessiva a quella allegorico-narrativa, "Il cavaliere di Uruk"non perde coerenza, ma cambia registro con naturalezza, come se il saggio avesse preparato il terreno per la rappresentazione concreta di ciò che la filosofia aveva solo accennato. È una trasformazione che richiama certe opere a metà tra il romanzo e il teatro sacro, in cuila trama è solo un pretesto per mettere in scena l’anima umana. Così il castello transilvano diventa un luogo fuori dal tempo,una soglia tra ciò che siamo e ciò che potremmo essere, mentre Sandro incarna l’archetipo del maestro, del traghettatore, colui che guida ma non impone, e che lascia agli altri il compito di completare la propria trasfigurazione.
I personaggi coinvolti nell’esperimento, scelti secondo la purezza del loro segno zodiacale, sonofigure emblematiche, tratteggiate con più funzione concettuale che psicologica: ciascuno è portatore di una ferita, un’illusione, un desiderio, e attraverso il confronto collettivo e le prove imposte dal Cavaliere,tutti vengono messi nella condizione di riflettere sul proprio posto nel cosmo. È una dinamica che richiama tanto i Dialoghi platonici quanto i giochi di ruolo simbolici della letteratura iniziatica. Giaveri, con consapevolezza,costruisce un microcosmo dove ogni elemento ha valore archetipico, e dove l’obiettivo non è risolvere un mistero ma attraversarlo, convivere con esso.
Alla fine, ciò che resta non è la risoluzione di una trama – perché non c’è un “finale” in senso classico – mala consapevolezza che la vera Unità non è qualcosa da costruire fuori, ma da risvegliare dentro. Il sogno di Andrea, di Sandro, del lettore stesso, diventa quindila possibilità concreta di un cambiamento spirituale, anche se piccolo, anche se invisibile. In un’epoca che banalizza tutto, Giaveriosa proporre un’opera fuori moda, spirituale, persino sacrale, ma senza dogmatismi. È un atto di fede nella letteratura come rito, nella parola come strumento di trasformazione.
"Il cavaliere di Uruk" è, in definitiva,un viaggio nelle profondità dell’animo umano, mascherato da romanzo e costruito come un labirinto simbolico. Non è un libro facile né lineare, ma èun’esperienza che premia chi accetta di leggere senza aspettative predefinite, con apertura e ascolto. È una sfida al lettore moderno, ma anche un dono: un invito a sognare con occhi svegli, e a riconoscere nell’altro – e in sé stessi – il frammento di un’unità perduta, che forse non è mai stata così vicina.
 

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