Economia

Smart working: l'esperienza di Inps e Comune di Brescia

In città circa 10mila lavoratori sono passati al lavoro agile per via dell'emergenza coronavirus nel corso del lockdown
Lo smart working non è immediato da applicare senza il supporto delle aziende
Lo smart working non è immediato da applicare senza il supporto delle aziende
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La parola magica è fiducia, seguita da delega, autonomia, organizzazione. Si chiama smart working oppure lavoro agile, da non confondere con il telelavoro che è la semplice trasposizione a casa di quanto si fa in ufficio.

Lo smart working, invece, è altro: significa decidere dove e quando lavorare, contano i risultati, la produttività. Nei mesi del lockdown, fra settore pubblico e privato, sono stati 8 milioni i lavoratori impegnati da remoto (contro i 500mila pre Covid), fra loro 3 milioni di dipendenti pubblici, i quali, in gran parte, continuano a svolgere il lavoro agile.

Anche nel Bresciano. In città sono circa 10mila. Persone che non si spostano: vuole dire, anche, meno traffico, meno inquinamento, più sostenibilità. Sul piano operativo la sperimentazione sta dando risultati positivi, per i lavoratori e gli utenti, dice chi è impegnato sul campo. Dirigenti, impiegati, sindacati. Si lavora meglio e di più. Due fra gli enti di più grande impatto sui cittadini sono l’Inps e il Comune di Brescia. Entrambi, in via sperimentale, avevano già introdotto lo smart working, esteso poi in fretta ai dipendenti con l’inizio dell’emergenza.

L’Inps. «Da noi - spiega il direttore dell’Inps, Francesco Ricci - solo il 10% del personale lavorava da remoto fino a quattro giorni al mese. Una modalità vista con favore, ma che lasciava qualche perplessità». Il Covid ha stravolto tutto, cancellando esitazioni e dubbi. Quasi tutti i 341 dipendenti della sede centrale hanno lavorato da remoto. Le difficoltà logistiche (fornitura dei computer, potenziamento della rete e del sistema) sono state presto superate. «È stato un successo» dice il direttore Ricci.

«Il personale ha capito il momento eccezionale, impegnandosi oltre l’ordinario». Da una parte «è cresciuta la fiducia fra il personale, che è stato responsabilizzato, e l’ente; dall’altra abbiamo dovuto semplificare gli adempimenti richiesti all’utenza». Con beneficio dei cittadini, sottolinea Ricci. Nel periodo del Covid «abbiamo smaltito il lavoro in entrata, ma anche parte del pregresso». Gli uffici sono ancora chiusi al pubblico, ma dall’8 giugno è possibile prenotare una richiamata telefonica dall’Inps per ottenere informazioni sulle pratiche di pensione e sugli ammortizzatori sociali (lunedì-venerdì, 8.30-12.30).

La Loggia. «Tutti i dipendenti sono passati al lavoro agile vero in soli 2-3 giorni», dicono Giulio Pinchetti e Barbara Bresciani, rispettivamente dirigente del settore risorse umane del Comune di Brescia e coordinatrice del progetto sullo smart working attivato il primo settembre 2019 con 16 dipendenti. Una esperienza che ha consentito al Comune di non trovarsi impreparato nell’emergenza. Anzi. «Non abbiamo interrotto alcuna attività, salvo dove era impossibile bypassare il supporto cartaceo, come all’anagrafe», spiegano. Su 1.600 persone, più della metà, 820 (tutte le mansioni possibili, bisogna aggiungere i 350 insegnanti di scuola dell’infanzia e degli asili nido con i progetti rivolti alle famiglie), lavorano da remoto.

«C’è stata una grande reazione positiva delle persone», sottolinea Pinchetti. Ogni lavoratore produce un report su quanto fa. «Ciò che conta - afferma Bresciani - è creare un meccanismo per responsabilizzare il dipendente. Il rapporto si basa sulla fiducia, sulla partecipazione, sul dialogo fra dirigenti e lavoratori». Criticità. Non tutto è rosa. C’è il tema dei lavoratori «fragili», come gli ipovedenti, che non possono essere discriminati ed esclusi. C’è il problema della sindrome da isolamento che assale il lavoratore, della conciliazione fra il tempo del lavoro e quello della vita privata. «La soluzione ottimale - dicono Pinchetti e Bresciani - è una modalità mista, flessibile. Smart working con rientri settimanali in sede».

Una cosa, comunque, sembra assodata: che il lavoro agile avrà un solido futuro. La ministra Fabiana Dadone l’ha già annunciato: «Bisogna trasformare la crisi in opportunità, mi piacerebbe che almeno per il 30% del personale della pubblica amministrazione diventasse la modalità normale». È possibile? «Accelerare sul digitale è giusto - sottolinea Ricci - e per molti ambiti si potrà fare a meno della presenza fisica in ufficio». Tuttavia, «finché i cittadini chiederanno di venire in sede dovremo garantire il servizio, soprattutto per l’utenza debole, una buona fetta di chi si rivolge all’Inps». Certo che si può (si deve) fare, conferma Pinchetti: «Almeno la metà dei nostri dipendenti ha chiesto di fare lavoro agile anche in futuro per qualche giorno la settimana».

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