Economia

Schlecker, la catena spezzata delle drogherie

Il colosso tedesco della media distribuzione è insolvente e cerca investitori: 8 le filiali nel Bresciano, ma se ne attendono altre due.
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C'è stato un tempo, si dice, in cui nella sede centrale di Schlecker, a Ehingen sul Danubio, non sapessero più quante drogherie avessero in Germania. Erano troppo occupati ad aprirne di nuove per concentrarsi sul pregresso. Per la prima volta dal 1975, però, il gruppo ha messo la retromarcia. In febbraio sono stati tagliati 2.000 punti vendita sui 7.000 circa presenti in Germania. Nel giro di poco tempo, oltre 11mila donne (nei negozi Schlecker le presenze maschili sono ridotte al minimo) si sono trovate senza lavoro. In pratica, è stata spazzato via più di un terzo della forza lavoro complessiva.

Tutto ciò dopo che il colosso tedesco ad inizio anno ha dichiarato lo stato di insolvenza, avviando un piano di salvataggio e ristrutturazione ancora aperto. Colpa della crisi e di scelte strategiche giudicate dagli analisti non più al passo coi tempi. Un terremoto economico ed occupazionale che rischia di riverberarsi anche nel Bresciano: tra città e provincia, soprattutto sul Garda, ci sono otto filiali. Sono parte delle oltre 300 che il gruppo ha costruito in Italia a partire dal 1999. Fuori dai confini tedeschi, in Europa, ci sono 17mila dipendenti in 3.000 drogherie. Alle casse, la domanda delle commesse è sempre la stessa: che ne sarà di noi? Una domanda che viene tenuta dentro, mentre all'esterno si cerca di far finta di niente. Anzi, c'è chi confida in una ripresa.
«A maggio inauguriamo un negozio a Bedizzole», spiega una dipendente. Si parla anche di una terza drogheria in città: dunque l'espansione non si è arrestata? In effetti, sul sito internet italiano di Schlecker appare in bella mostra «Cercasi immobile da adibire ad uso commerciale». È il segno distintivo della strategia aggressiva dell'azienda, una crociata commerciale per portare in ogni angolo di città e paesi la scritta bianca e blu della drogheria con dentifrici e tagliaunghie, shampoo e pannolini, detersivi e marmellate (i generi alimentari, pochi, sono stati inseriti recentemente).

I prossimi passi dell'invasione, per quanto riguarda l'Italia, dipendono però da quanto accadrà in Germania. Sollevando un vespaio di polemiche, il Governo Merkel ha negato qualsiasi forma di aiuto di Stato all'azienda, contrariamente a quanto accadde con Opel. Fallito il tentativo di trovare un salvagente nel pubblico, la famiglia si è messa a sondare tra i privati. Gli investitori interessati a mettere capitali, lasciando ai figli del fondatore Anton Schlecker il controllo, sono però via via spariti nel corso delle ultime settimane. Secondo «Der Spiegel», il gruppo di investimenti ceco Penta è l'unico che potrebbe piazzare i 100 milioni di euro chiesti dall'azienda per vendere i beni immobili, dare ossigeno alle casse e tenere a bada i creditori. Nel 2010, su un giro d'affari di 6,6 miliardi di euro, le perdite ammontavano a 650 milioni: la falla da coprire è grande.

Nel frattempo, il piano di ristrutturazione è entrato nel vivo con i pesanti tagli, ma anche con un nuovo design per i negozi. L'operazione non è semplice. La concorrenza di gruppi come «Rossmann» o «Dm» (presente anche a Brescia), è per alcuni commentatori ormai invincibile. In più, il patriarca Anton (68 anni, partito dal niente come macellaio), protagonista in passato di duri scontri con i sindacati per le condizioni di lavoro nei minimarket, sembra circondato da un alone di scetticismo, se non di aperta ostilità. Sui figli Lars e Meike il giudizio è sospeso, ma non si registrano entusiasmi. In mezzo, al solito, ci sono le lavoratrici e i lavoratori. Quelli che hanno perso il posto e quelli che temono di perderlo. Per ripulire l'azienda servirà qualcosa in più di spugna e sgrassante. Anche se fossero comprati da Schlecker.

Emanuele Galesi

e.galesi@giornaledibrescia.it

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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