Economia

«Più salario e meno orario per salvare la metalmeccanica»

L’intervista a Rocco Palombella, segretario generale della Uilm, oggi presente a Brescia per l’assemblea della sigla sindacale
Rocco Palombella - © www.giornaledibrescia.it
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Impennata della cassa integrazione, crisi dell’automotive, costi dell’energia in grado di mettere fuori mercato le aziende e una trattativa per il rinnovo del contratto collettivo decisamente in salita. Sulla metalmeccanica italiana si è abbattuta la tempesta perfetta. Questi sono i temi al centro dell’assemblea della Uilm di Brescia in programma oggi in città, con il segretario generale della Uilm, Rocco Palombella.

Segretario, Federmeccanica ha respinto le vostre proposte sul rinnovo contrattuale presentando una contro-piattaforma. Crede sarà rottura, si andrà allo sciopero?

«C’erano tutte le condizione per rompere la trattativa, ma non lo abbiamo fatto per senso di responsabilità vista la situazione di grande difficoltà in cui versa il settore. La nostra proposta, approvata dal 98% dei lavoratori, chiede salari adeguati al costo della vita, riduzione dell’orario di lavoro e stabilità dei contratti di lavoro. Ma soprattutto cerca di arginare il profondo malessere che abbiamo raccolto nelle aziende».

Cosa intende per profondo malessere?

«Le nuove generazioni non sono più attratte dal lavoro metalmeccanico. Su questo aspetto c’è molto fare, ma il punto di partenza sono le retribuzioni. Dal 2012 ad oggi abbiamo rinnovato tre contratti e complessivamente abbiamo preso 481 euro che, se li dividiamo per 12 anni e mezzo, significa che i lavoratori metalmeccanici hanno guadagnato in questi dodici anni 38,5 euro lordi all’anno. Le sembra una cifra adeguata? Sul rinnovo del Ccnl chiediamo a Federmeccanica ed Assital il 14% di incremento salariale pari a 280 euro nel triennio 2024-2027, a fronte di una inflazione programmata del 7%».

La piattaforma chiede anche la riduzione dell’orario?

«L’orario di lavoro non si dovrebbe misurare più col cartellino, ma con la capacità professionale, con il valore aggiunto. Oggi la sfida si gioca sulla competitività, l’innovazione, il valore aggiunto. I tempi di lavoro sono fondamentali per i lavoratori, per le imprese e per la società. Credo sia arrivato il momento di ridurre l’orario settimanale a parità di salario per affrontare le transizioni ecologiche e digitali, per risolvere le crisi industriali, per attrarre le nuove generazioni, per bilanciare vita e lavoro».

E sul fronte produttività come la mettiamo? Federmeccanica denuncia che è aumentata meno della metà rispetto ai concorrenti europei.

«La produttività si raggiunge prima di tutto con una diversa organizzazione del lavoro, con la professionalità, con gli investimenti e l’innovazione. Chi pensa di sfruttare le persone per aumentare la produttività è indietro di vent'anni. Continuiamo a rincorrere un modello che non esiste più. Se non teniamo in considerazione le retribuzioni delle persone, gli orari e la possibilità di una vita sociale non riusciremo ad attrarre le nuove generazioni».

Come evolverà ora la trattativa?

«Già dai prossimi giorni avvieremo le assemblee in tutti gli stabilimenti per spiegare alle lavoratrici e ai lavoratori le controproposte di Federmeccanica. Lo sciopero non è in programma, ma se permangono queste condizioni dopo il 15 novembre avvieremo la strada della mobilitazione».

L’automotive preoccupa. Brescia è la seconda provincia italiana per occupati in questo settore. Come vi muoverete?

«Su questo fronte abbiamo più volte sollecitato il governo. Venerdì 18 faremo una grande manifestazione a Roma con i sindacati europei per rilanciare il settore, compresa la componentistica che a Brescia conta oltre 250 aziende. Stellantis quest'anno produrrà in Italia meno di 300mila auto, segnando il minimo storico e tornando ai livelli di fine anni Cinquanta. Negli stabilimenti c’è la cassa integrazione e la componentistica bresciana risente degli effetti indotti».

Il problema è più ampio: riguarda la transizione. Crede sia stata gestita correttamente da Roma e da Bruxelles?

«Quando si annuncia una data cosi epocale come l’addio al motore endotermico, il minimo che ci si aspetta è che i governi, compreso quello italiano, sappiano come prepararsi alla transizione. Ora si cerca di rinegoziare con il rinvio dell’Euro 7 e l’allargamento ai carburanti sintetici. Ma la confusione è totale con lo stop di progetti già avviati sull’elettrico, come la produzione di nuovi modelli e la Gigafactory a Termoli»

Cosa chiedete al Governo e all’Europa?

«Chiediamo prima di tutto chiarezza. Perché le aziende ne hanno bisogno, così come i consumatori. Il vero problema non sono gli incentivi, ma sono le auto elettriche che non si vendono perchè costano tanto e non ci sono le infrastrutture: siamo in ritardo. Al momento non ci sono le condizioni per avviare una transizione governata. Chiediamo al governo di fare chiarezza su questi temi e dare indicazioni a Stellantis».

Anche la siderurgia non è messa bene e registra a Brescia un’impennata della Cig. Quali sono i problemi di questo settore?

«Soffre da troppo tempo il caro energia. Denunciamo da tempo che la situazione è insostenibile. Le acciaierie sono costrette alla cassa integrazione proprio perché non riescono ad avere prezzi competitivi. E poi c’è il problema del rottame, c’è il nodo del pre-ridotto che non si sblocca, c’è l’invasione dei prodotti cinesi. Se su questi temi non si trova una soluzione rischiamo di perdere un settore trainante e strategico non solo per l'economia bresciana, ma per tutto il Paese. Su questo fronte l’Europa ha grandi responsabilità: si è innescata all’interno dell’unione una sorta di concorrenza sleale: diritti, contratti, fiscalità. È necessario fare un lavoro di armonizzazione all’interno dell’Unione Europea»

Come giudica la politica industriale di questo governo?

«Da anni contestiamo ai governi che si sono avvicendati una mancanza di visione sul futuro industriale del Paese. La manovra finanziaria che il governo si appresta a varare è deludente: conserva l'esistente e non fa nulla per rilasciare quei settori dell’industria trainanti della nostra economia. Si gestisce la crisi con ammortizzatori sociali, con contratti di solidarietà. Noi vogliamo politiche di sviluppo, che garantiscano lavoro sicuro».

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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