Metalmeccanici: a Brescia il 16% è donna e spesso con la qualifica di «impiegata»
Anche nel comparto metalmeccanico, come in tutti gli altri settori d’attività, il lavoro delle donne è diventato fondamentale. La loro presenza è rilevante e arriva ormai complessivamente al 20,9% tra dirigenti, quadri, impiegate e operaie, tra l’altro in crescita del 4% negli ultimi anni presi a riferimento.
Le donne tuttavia sono quelle che ricorrono di più al part-time (l’81% del totale), avendo spesso sulle spalle - in maggior misura rispetto agli uomini - gli impegni famigliari, e realizzano un «valore del lavoro in crescita». Inevitabilmente le donne metalmeccaniche lavoratrici hanno mediamente salari inferiori del 15% a quelli dei colleghi maschi e nelle dinamiche aziendali faticano di più a vedersi riconoscere miglioramenti di posizione e di ruolo.
A fotografare (e per certi versi a confermare) la condizione delle donne nella metalmeccanica nazionale è un recente report della Fim Cisl sui «bilanci di parità», realizzato mettendo a confronto la situazione del 2020 con quella del 2021.

A Brescia
Il copioso lavoro, che ha censito 701 imprese italiane sindacalizzate, ha coinvolto ben 295.057 lavoratori, di cui 61.664 donne, rivelando che la maggior parte di loro ha un ruolo da impiegate, il 27,4%, che il 19% ce l’ha da quadro, e che il 16,5% da operaia.
Dai dettagli dell’indagine emerge anche la situazione bresciana. Da noi la presenza femminile è quattro punti inferiore alla media nazionale e nel 2021 raggiungeva il 16,4%, vale a dire 1.587 donne su un totale di 9.651 lavoratori censiti. Nel 2020 erano il 16,6%, quindi 1.534 su 9.198 lavoratori. Anche a Brescia il ruolo svolto di più nel settore è quello dell’impiegata, e ancora più che a livello nazionale, spingendosi fino al 29,4%, contro il 13% delle quadro e il 10,2% delle operaie. A godere del part time invece sono 295 bresciane metalmeccaniche su 406 tempi parziali totali (il 72%), mentre le assunte a tempo determinato sono 1.497 su 8.597 e quelle a tempo determinato 47 su 621.
Le reazioni
Interpretando i dati il segretario di Fim Cisl Brescia, Stefano Olivari, si è concentrato sui gap da recuperare. «Nel totale dei superminimi individuali figura un numero di dipendenti rilevante, ma quelli per le donne sono un terzo di quelli riservati agli uomini - ha osservato -. La differenza retributiva anche a Brescia sembra ancora evidente. Altro problema è la conciliazione dei tempi di vita e lavoro, per cui la stragrande maggioranza di donne e ragazze non ha ancora tutele adeguate. In questo ambito ci sono risposte solo da alcune aziende attraverso la contrattazione aziendale, e anche qui Brescia non si discosta dal quadro nazionale. Perché? Le politiche di conciliazione necessitano di un investimento produttivo e amministrativo aziendale non trascurabile, e non sono molte le imprese disposte a farlo, tra chi non può e chi non vuole farlo».
E poi c’è la piaga delle dimissioni volontarie. «Il sindacato con la propria autonomia e l’impresa con la sua possono creare regole di equità e trasparenza per rendere il lavoro più attrattivo - ricorda il segretario Fim Cisl -. Sono strumenti utili sia per attirare risorse che per mantenerle, e direi che alla luce della situazione odierna metterli in pratica potrebbe convenire a tutti».
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