Economia

Il business plan di Irene per il colosso Usa della ristorazione

L’obiettivo del colosso americano Perkins, che distribuisce oltre 20mila pasti al giorno in 10 Paesi, era l’espansione sul mercato statunitense
Protagonista.  La bresciana Irene Guidi
Protagonista. La bresciana Irene Guidi
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Capelli rossi, lentiggini e sguardo timido: a vederla non lo si immagina, ma la 22enne bresciana Irene Guidi ha creato il business plan per uno dei colossi americani della ristorazione. Fresca di laurea (110 e lode, ça va sans dire) in Lingue per l’economia alla Cattolica di Brescia, Irene è partita per Washington gli ultimi giorni di ottobre, dopo essere stata scelta tra i migliori 50 su 40mila ragazzi in tutto il mondo.

L’avventura era iniziata la scorsa primavera, con il progetto X-Culture, proposto come attività facoltativa nell’ambito di un corso universitario. Da lì Irene era rientrata nei primi 150 convocati nel mese di luglio a Miami, dove si era fatta valere nell’ideazione di strategie di marketing per Hard Rock Seminole ed era stata selezionata per la terza sfida, quella, appunto, di Washington.

Anche se si rivolge agli studenti universitari - nel primo semestre del 2017 ne ha convolti 4.780, oltre che 162 professori e 125 università in 40 Paesi di tutto il mondo - X-Culture è un programma di sviluppo strategico dell’impresa mirato alla soluzione reale di esigenze aziendali. «Quando siamo arrivati a Washington - racconta Irene - il ceo Nicholas Perkins e il suo team esecutivo hanno capito che potevano pretendere da noi e, rispetto alla richiesta iniziale, hanno alzato l’asticella». L’obiettivo del colosso americano, che distribuisce oltre 20mila pasti al giorno in 10 Paesi, era l’espansione sul mercato statunitense.

«Per raggiungerlo - spiega Irene - io e gli altri due membri della mia squadra, una ragazza del Kenya e un ragazzo canadese, abbiamo proposto loro non solo il rafforzamento del legame con l’Epa (Agenzia per la protezione dell’ambiente) negli Stati Uniti, ma anche l’espansione sul mercato estero canadese approfittando dell’accordo governtivo Bill 36, e la creazione di ecosistemi su base di allevamento acquaponico e idropinico per l’autoproduzione».

Tante le competenze necessarie ad affrontare quest’esperienza: «Prima fra tutte - precisa Irene - la flessibilità. Abbiamo dovuto redigere un business plan di venti pagine in poche ore. Molti, dopo il cambio di richiesta dell’ultimo minuto, hanno buttato la spugna». Non Irene, che aveva tanto lottato per arrivare fin lì: «Un grazie va alla mia famiglia, a Gianmaria Guidi, mio padre, in particolare - dice la giovane promessa del management internazionale -. È stato lui a trasmettermi la forza per non arrendermi, lui che fin da bambina ho visto darsi da fare nel lavoro».

Irene si è presentata a Washington in rappresentanza dell’azienda del padre, Germedia, che l’ha in parte sostenuta economicamente: «Papà dice di non preoccuparmi per il lavoro fin tanto che studio, ma io non riesco a stare ferma, sento il bisogno di dare il mio contributo, per questo ho lavorato come addetta al ricevimento in un hotel. Adesso ho appena iniziato un corso di laurea magistrale in Management (profilo Green Economy) all’Università degli Studi di Brescia, "da grande" mi piacerebbe essere il capo di me stessa».

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