Economia

I giovani e il mondo del lavoro: inadeguati oppure sfruttati?

Il vero problema nel rapporto giovani-lavoro sta nel trattamento a loro riservato
La gavetta spesso significa ricoprire ruoli poco stimolanti
La gavetta spesso significa ricoprire ruoli poco stimolanti
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«Choosy», «pigri», «fannulloni», «mammoni». Negli ultimi 10 anni se ne sono sentite tante e le vittime erano sempre le stesse: i giovani italiani, tacciati di essere sempre inadeguati - in un verso o nell’altro - rispetto al mondo del lavoro. La verità è che i giovani (che nel frattempo diventano sempre meno giovani) sono stanchi di essere sfruttati.

Secondo un certo tipo di narrazione - cominciata un decennio fa e proseguita fino a poche settimane fa - in Italia i giovani sono talmente viziati da snobbare qualsiasi opportunità lavorativa che non rispecchi l’occupazione dei loro sogni o obblighi a orari troppo faticosi. Eppure raramente emerge che il vero problema nel rapporto giovani-lavoro sta nel trattamento a loro riservato. Così la retorica dei «giovani che non hanno voglia di lavorare» risulta spesso fuorviante e impedisce di riconoscere le vere radici della disoccupazione.

Perché ovunque, non solo nelle aziende, prevale la retorica della gavetta, che spesso invece di consentire al neo assunto di approcciare la professione, valorizzare le proprie competenze e acquisirne di nuove, diventa un pretesto per scaricare le mansioni meno stimolanti per stipendi minimi. Oltre al disallineamento tra domanda e offerta e una concezione distorta dell’apprendistato, si aggiunge spesso l’incapacità delle aziende di riconoscere il valore delle competenze non puramente tecniche. In una società sempre più globalizzata è essenziale che flessibilità, conoscenza delle lingue, abilità di problem solving e capacità di collaborare con persone provenienti da contesti diversi vengano valorizzate almeno quanto la capacità nell’utilizzo del computer.

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