Economia

Gruppi bresciani segnati dal Covid ma con un’alta liquidità

Nei bilanci 2020 emerge una perdita di fatturato pari all’8% sull’anno prima e il 25% in meno di Ebit
L'analisi prende in considerazione 157 gruppi aziendali - © www.giornaledibrescia.it
L'analisi prende in considerazione 157 gruppi aziendali - © www.giornaledibrescia.it
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L'analisi del professor Claudio Teodori si basa sulla ricerca Bilanci 2020, l'approfondimento che ogni anno la redazione del Giornale di Brescia realizza con l'Università degli Studi di Brescia. Un inserto di 274 pagine in edicola dal 3 dicembre (10 euro più il prezzo del quotidiano) e online sul portale bilanci.giornaledibrescia.it (a cui si può accedere con il coupon contenuto nel volume o acquistando l'accredito online a 9 euro). Sul sito saranno a disposizione i dati economici di più di mille aziende bresciane in versione digitale, filtrabili e consultabili con immediatezza, anche per creare analisi personalizzate e confronti tra imprese.

La tematica dei gruppi di imprese si colloca nell’ambito delle scelte di aggregazione aziendale, che assumono rilevanza primaria nelle economie moderne. I gruppi si formano per molteplici ragioni, che ne identificano le caratteristiche specifiche: a solo titolo di esempio, la riduzione della concorrenza; la condivisione di tecnologie, reti di vendita, know-how; l’ingresso in nuovi mercati; l’integrazione di fasi, a monte e a valle, del processo economico; la ricerca di dimensioni adeguate per competere; la diversificazione del grado di rischio globale. Per questa ragione è interessante esaminare le loro peculiarità e il loro andamento economico, con riguardo al nostro territorio. La dimensione.

Tra le 1.000 realtà esaminate nel report annuale del Giornale di Brescia, ci sono 157 gruppi, che si possono definire «formali», cioè che predispongono il bilancio consolidato, il documento che rappresenta la loro situazione economica complessiva. Il numero effettivo è però sottostimato, perché ve ne sono molti altri che per ragioni dimensionali, scelte organizzative o esoneri, non effettuano il consolidamento dei conti o hanno ritardato la pubblicazione del bilancio.

All’interno dei gruppi bresciani esaminati vi sono 1.029 imprese controllate, cioè sottoposte al governo delle capogruppo, valore assai significativo ma da ritenere in difetto, perché in alcuni casi non erano disponibili le informazioni. In ogni caso, di queste realtà controllate, il 60% sono italiane e il 40% estere: questa suddivisione si rifletterà sulla distribuzione geografica del fatturato. Oltre alle controllate, si rilevano anche altre realtà che si definiscono collegate (con quota partecipativa generalmente inferiore al 50%, ma superiore al 20%), sulle quali la capogruppo esercita un’influenza notevole: ve ne sono 275, di cui il 76% italiane.

Alcuni parametri quantitativi (con riferimento principale al 2020) permettono di rappresentare l’incidenza dei 157 gruppi sulle 1.000 entità del report: essi generano 30,7 miliardi di fatturato, il 55% di quello complessivo (55,9 miliardi), percentuale stabile nel tempo: se si escludesse A2A, il gruppo più grande che influisce in modo rilevante sui valori totali, l’incidenza scenderebbe al 49%. Producono, inoltre, il 60% di Ebitda, percentuale in calo nel triennio, che scende al 50% senza A2A. In modo analogo per il capitale investito, che incide per il 60% (o 52%).

In definitiva, ad essi è riconducibile circa la metà dei valori delle principali entità economiche bresciane. La situazione economica. Nel 2020 hanno perso l’8% di fatturato (nel triennio poco meno del 3% annuo) e il 25% di Ebit; solo un gruppo su cinque ha aumentato le vendite, mentre il 12% anche l’Ebit. Due terzi del fatturato è ottenuto sul mercato italiano, un terzo fuori confine: tuttavia, escludendo i due gruppi principali (per fatturato) che vendono solo in Italia, il fatturato estero aumenta al 46%, valore certamente più indicativo del grado di propensione all’internazionalizzazione delle nostre imprese. Il 78% dei gruppi vende all’estero e, di questi, un terzo per quote superiori al 50% del fatturato totale.

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Nei tre anni il valore aggiunto rapportato alle vendite è rimasto stabile al 25% mentre si è ridotta di un punto percentuale l’incidenza dell’Ebitda, che si ferma all’11,3%, a significare la crescente incidenza del costo del lavoro, che passa dal 12,9% al 14%. Il costo del lavoro complessivo è pari, nel 2020, a 4,3 miliardi, in calo del 4% sul 2019. Aumenta, tuttavia, il numero di dipendenti, che si avvicina a 95.000, il 2,4% e il 9,3% in più rispettivamente rispetto al 2019 e a inizio triennio. Il calo dell'Ebitda ha portato alla contrazione, rispetto al 2019, della marginalità sulle vendite, che ha influito sul calo ancora più ampio della redditività del capitale investito che dal 5,4% passa al 3,7%.

Su questo indicatore, che esprime il rendimento di tutti gli investimenti aziendali, ha anche inciso la minore efficienza finanziaria, dovuta sia alla perdita di fatturato, sia alla crescita di capitale investito, in discreta parte indotta dalla rivalutazione. Peggiora di tre punti percentuali anche il Roe, la redditività dei mezzi propri, che si assesta al 5,5%: il 24% dei gruppi chiude in perdita, contro il 12% dell’anno precedente.

Se nella redditività si vedono gli effetti negativi della pandemia, la solidità non presenta peggioramenti: il rapporto di indebitamento è stabile, si riduce in misura molto contenuta la sostenibilità economica dei debiti (l’assorbimento di Ebitda da parte degli oneri finanziari), il grado di copertura degli investimenti fissi da parte dei mezzi propri è vicino all’unità, mentre esiste discreto equilibrio, in termini di scadenze, tra investimenti e finanziamenti. In conclusione, la pandemia con il blocco delle attività e la crisi conseguente che ha avuto estensione mondiale, ha inciso in misura non trascurabile sui nostri gruppi, così come sull'intera economia bresciana.

La dimensione finanziaria

A fine 2020, le risorse liquide nella disponibilità dei gruppi ammontavano a 4,6 miliardi, il 48% in più dell’anno precedente (e anche del 2018). Si tratta di una massa di liquidità significativa, dovuta in parte all’interruzione o al rallentamento degli investimenti (che comunque ci sono stati) oltre che ad alcune misure di sostegno del governo a supporto dell’accesso al credito.

Esaminando i rendiconti finanziari del 2020, si leggono le cause sottostanti a questo significativo incremento. L’aumento di circa 1,5 miliardi delle disponibilità liquide nel 2020 è da attribuire per 2,6 miliardi all’attività operativa, all’interno della quale la gestione caratteristica contribuisce per circa 3,4 miliardi: la differenza, di circa 800 milioni, è prevalentemente riconducibile al pagamento di imposte, di interessi passivi e all’utilizzo di fondi per rischi e oneri, oltre che all’incasso di interessi attivi e dividendi.

A fianco dell’incremento descritto, vi è un assorbimento di liquidità per 2,1 miliardi a causa di uscite collegate all'attività di investimento, al netto delle entrate per disinvestimenti. Infine, vi è un incremento di 1 miliardo legato all’attività di finanziamento. Ponendo l’attenzione sulla gestione tipica, il 9% dei gruppi non produce liquidità, valore in leggero miglioramento rispetto al 2019. Inoltre, il flusso incide sul fatturato per l’11%, invariato rispetto al precedente anno: ogni 100 euro di vendite, si producono circa 11 euro di liquidità. (ha collaborato Annamaria Birtalan)

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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