Economia

Finchimica: calano i ricavi, triplica l'utile

La società fondata da Arturo Bersi Serlini e oggi presieduta da Giuseppe Naponiello, ha attuato un'attenta gestione dei costi pur investendo 800mila euro in attività di ricerca e sviluppo. Buone le prospettive per il 2010.
AA

MANERBIO
La chimica rende anche in tempo di crisi. Pure se calano i ricavi. Anche se la Cina è vicina. E anche se le certificazioni ambientali, come nel caso di specie, sono investimenti costosi ancorché necessari. Come Finchimica di Manerbio, azienda fondata negli anni '70 da Arturo Bersi Serlini - ora ritiratosi nello splendido isolamento dell'omonima e affermata azienda vitivinicola franciacortina guidata da Maddalena Bersi Serlini - e oggi controllata dalla Finagro (Ipici Group) e presieduta da Giuseppe Naponiello.
La pietra filosofale
A scorrere il bilancio di Finchimica, che ha chiuso il 2009 con ricavi calati da 44,3 a 36,8 milioni ma utili triplicati da 1,2 a 3,1 milioni, sembra di aver a che fare con la medioevale pietra filosofale, quella che trasformava il piombo in oro. Non tanto per le cifre quanto per l'efficienza e la capacità reattiva. Nonostante la crisi del 2009 e malgrado la concorrenza sui mercati mondiali delle dinitroaniline cinesi, Finchimica, come sottolinea Naponiello nella Relazione, non era impreparata a tali eventi. Si è attrezzata con una oculata politica di gestione aziendale dentro la fabbrica e di consenso sociale fuori dalla fabbrica.
Il risultato si è manifestato anche in termini contabili. Il valore della produzione è stato di 34,7 milioni di euro, i costi della produzione di 34,6 milioni: tra questi le materie prime per 20 milioni, l'energia per 7,7 milioni, il personale per 4,5 milioni (aumentato rispetto ai 4,1 milioni del 2008). Gli ammortamenti sono aumentati, passando da 1,3 a 1,6 milioni, il che significa un indice di autofinanziamento (liquidità generata dalla gestione data dall'utile netto più ammortamenti e svalutazioni) per 5 milioni a fronte dei 3 milioni del 2008. Il saldo della gestione caratteristica industriale, ossia la differenza tra valore e costi della produzione, cala, passando di 2,8 milioni del 2008 ai 151mila euro del 2009. Ma dove cala la gestione industriale soccorre la gestione finanziaria, con proventi netti per 3,3 milioni, dieci volte di più dei 376mila euro dell'esercizio precedente. Il risultato prima delle imposte è di 3,4 milioni di euro; l'utile netto di 3,2 milioni di euro.
Equilibrio patrimoniale
Lo stato patrimoniale è lo specchio di tale politica gestionale. Gli immobilizzi finanziari sono valutati a 3 milioni, quelli materiali, al netto dei fondi di ammortamento, 14,3 milioni. Vale a dire circa il doppio del patrimonio netto di 6,7 milioni, cioè un margine di struttura primario (il rapporto tra patrimonio e investimenti fissi) negativo. Calati i crediti verso clienti, che passano da 8,4 a 3,8 milioni, mentre i crediti non immobilizzati passano da 12 a 6,3 milioni di euro. Aumentano le disponibilità liquide sui conti correnti, che passano da 1,2 a 1,6 milioni. Al passivo, oltre a un patrimonio netto di 6,7 milioni, i debiti verso banche ammontano a 12,5 milioni mentre quelli verso fornitori calano da 9,3 a 4,2 milioni.
Molto seguita la formazione professionale interna all'azienda: nel 2009 sono state spese più di 2.400 ore per il consueto addestramento. L'attività di ricerca e sviluppo ha richiesto costi per 800mila euro. Prospettive 2010 positive, grazie al controllo dei costi, all'innovazione di prodotto, all'apertura di nuovi mercati.

Alessandro Cheula

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia