Economia

«Diventare sostenibili è la sola via per avere un domani»

Così Sergio Vergalli, docente a Economia, lancia un monito alle aziende, bresciane e non, davanti alle nuove sfide
Il professor Sergio Vergalli è docente a Economia di Politica Economica - © www.giornaledibrescia.it
Il professor Sergio Vergalli è docente a Economia di Politica Economica - © www.giornaledibrescia.it
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C’è ’sta storia della sostenibilità. Se ne parla, se ne scrive, si raccontano storie, si pubblicano analisi su analisi, si aprono scontri più o meno civili fra più o meno larvate accuse di difendere interessi o di esserne portavoce. Il tutto si riporta, questo è il rischio, ad un derby fra i cosiddetti ambientalisti e gli altri. La sensazione - ma è anche una speranza - è che, però, quel che potremmo chiamare mega-trend stia prendendo piede. E non chiamerò qui a testimoni la Mondial-Greta o papa Francesco.

E qui si fa il primo equivoco facendo coincidere il tema della sostenibilità con quello dell’ambiente in senso stretto. Questo è un errore, professore. C’è differenza fra sostenibilità e ambiente? 
«Diciamo che il tema della sostenibilità ambientale rientra nel capitolo più ampio della sostenibilità tout court. Direi che, più correttamente, quando parliamo di sostenibilità ci riferiamo anche all’aspetto economico e sociale in senso ampio, ad un mondo, per dirla in modo forse un po’ ecumenico, più giusto. Un’azienda sostenibile è, per togliere ogni dubbio, ambientalmente pulita ed economicamente sana

E quindi, sempre per togliere ogni dubbio, un’azienda sostenibile deve continuare a fare utili? «Certo che sì. La sfida è un po’ questa: far capire a noi tutti (alle aziende in primis) che non solo è possibile fare impresa in maniera pulita ma che questo diventa il presupposto per avere i conti in ordine o più in ordine. Non vorrei essere equivocato: anche adesso ovviamente ci sono aziende ambientalmente corrette e che fanno utili, per restare all’esempio che lei ha fatto. Ma quel che lei chiama mega-trend (l’ambiente) imporrà sempre più comportamenti virtuosi, puliti per l’appunto.

Va da sè che per le aziende questo avrà un costo...
«Avranno dei costi sì, ma diventare - essere - sostenibili significherà anche averne meno di costi. È un investimento. Ha presente il grande disastro della BP nel golfo del Messico del 2010 con il pozzo petrolifero che aveva inquinato un gran pezzo di oceano? Un disastro ambientale e un disastro in borsa per BP, 30 miliardi in cause. Io non so se per sensibilità o convenienza: ma le nostre ricerche dicono che sempre più investitori cercano aziende sostenibili perché sono meno rischiose. Potremmo dire che essere aziende sostenibili è una sorta di assicurazione sul futuro e quindi - è il ragionamento - meglio investire qui che altrove; potremmo anche dire che non è per bontà che fanno questa scelta ma perché vedono lontano. Naturalmente a me piace pensare che sia anche per effetto di una accresciuta sensibilità».

Ci sarà da lavorare, diciamo così, con le aziende più piccole.
«Vero, ma sono convinto che se i grandi partono i piccoli seguono, anche perché non hanno alternative. Direi che si sta facendo strada l’idea che se il territorio sta meglio tutti stiamo meglio: è un bel traguardo».

C’è il tema dei costi. Trasformare il mondo costa. E quindi servono ad un tempo, e direi quasi contemporaneamente, un aumento delle sensibilità, interventi legislativi di indirizzo ed obbligo e, aggiungo, anche interventi di sostegno.
«Naturalmente ci saranno costi, ma direi che grandi alternative non ne abbiamo se pensiamo di continuare a vivere quaggiù. Certo, la sensibilità sta cambiando (pensate a quanto Greta sta facendo fra i giovani) e poi c’è la politica. L’Europa in questi giorni ha lanciato il suo Green Deal con l’obiettivo di azzerare l’impatto climatico in Europa entro il 2050. Sul tavolo mette (meglio: annuncia) mille miliardi di euro. Vedremo come si svilupperà la cosa, ma è la dimostrazione che i soldi potrebbero arrivare e attivare investimenti e lavoro».
 

Una mezza curiosità, professore. Ma lei non ha l’impressione che su questo tema della sostenibilità ci sia un gran (troppo) parlare. Che ci sia un gran fumo che magari, ahinoi, pure questa chiacchiera contribuisce ad alimentare?
«Sì, c’è molto fumo, molta polvere per restare ad un classico tema ambientale. Ma c’è anche tanta ciccia, in ogni senso. Anzitutto ci sono i dati che ci dicono come il clima stia cambiando. La temperatura sale e rischiamo cambiamenti irreversibili. Non starò a fare l’elenco delle cose che potranno cambiare, ma è evidente che se i ghiacciai si sciolgono le acque di mari ed oceani si alzeranno, è una cosa che già accade, se si andrà avanti il fenomeno si accentuerà. La ciccia, però, c’è anche per cominciare a fare qualcosa: i mille miliardi dell’Europa ne sono un esempio. E poi, come ricordato, sempre più investitori vanno in questa direzione.

Lei ricordava il maxi piano della Ue, io ricordo che BlackRock (il maggior fondo di investimento al mondo) ha annunciato che sta riallocando investimenti in aziende no-green in aziende green. Banca Intesa, altro caso, ha deliberato un fondo da 50 miliardi per la riconversione o per investimenti in chiave ambientale. Ubi Banca, per fare un caso a noi più vicino, lancia i green bond che fanno premio sul tasso di interesse. Sono alcuni esempi.
«Sì, leggo anch’io che le iniziative si moltiplicano. È il segno che la sostenibilità è uscita dall’accademia e sta entrando nel vivo, è il segno che in tanti pensano che se un’azienda è sostenibile ha più futuro e quindi è meglio investire qui che altrove. C’è una sorta di tasso di sconto green: più lo sei meno paghi il credito. È un esempio di come la sostenibilità non sia un costo ma una opportunità».

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