Automotive, a Brescia la transizione mette a rischio 6.000 posti

La transizione elettrica dell’auto ed il pacchetto europeo «Fit for 55» - che prevede una riduzione del 55% delle emissioni di gas entro il 2030 e lo stop alle immatricolazioni di auto a motore a combustione interna dal 2035 - stanno rubando il sonno alla filiera bresciana dell’automotive. Secondo i dati del Cluster Lombardo della Mobilità, l’«industria delle industrie», come la definiva l’economista Peter Drucker, convolge nella sola nostra provincia oltre 250 imprese e circa 18mila dipendenti per un fatturato di 6,5 miliardi (il 15% del giro d’affari annuo della manifattura provinciale).
Per alcune di queste realtà - quelle concentrate nella produzione di componenti quali principalmente sterzo, sospensioni, freni, pneumatici, parti di carrozzeria sedili, cruscotto ecc. - la transizione non causerà impatti significativi; ma per le aziende che operano direttamente nel powetrain a combustione interna, il passaggio all’elettrico potrebbe essere dirompente, con un taglio dell’85% del numero di componenti specifici della trasmissione necessari per la produzione delle autovetture (si stima dai 1400 a 200). Incognite, preoccupazioni, che si sommano alle difficoltà causate dalla mancanza di microchip. Ma come ogni transizione, il passaggio all’elettrico rappresenta anche una grande opportunità. Ne è convinto Saverio Gaboardi, presidente del Cluster Lombardo della Mobilità, uno dei nove cluster tecnologici riconosciuti dalla Regione Lombardia. «Si apre un’era di grandi opportunità per il settore automotive: ma il cambiamento dovrà essere guidato nei tempi, nei modi e con le risorse adeguate. Mi creda, tutta la filiera concorda nell’aderire agli obiettivi di miglioramento climatico, secondo l’approccio dell’agenda Onu 2030 che tiene conto delle declinazioni ambientali, economiche e sociali».
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Dovremo dire addio alla filiera dell’auto così come la conosciamo oggi?
«Il futuro ci riserverà una pluralità di tecnologie e di trazioni a livello mondiale. L’Europa ha fatto una scelta pionieristica, con il bando del motore endotemico nel 2035, si è posta in una posizione isolata rispetto a Cina e Stati Uniti. Credo che questa scelta sia ancora modificabile».
In che senso modificabile?
«Il motore endotemico è potenzialmente rispettoso dei limiti ambientali. Se è alimentato da combustibili non fossili la produzione di Co2 tende a zero. Un recente studio sul trasporto pubblico locale condotto dal prof. Gianpiero Mastinu ha confrontato la produzione di C02 dei motori endotermici alimentati a biometano con quelli elettrici: il risultato è equivalente».
C’è ancora spazio per il motore endotermico allora.
«Se alimentato con carburante non fossile continuerà a essere preso in considerazione. Anche in Europa le trazioni dei trasporti pesanti avranno sempre un’alimentazione endotermica con biocarburanti o idrogeno. E poi ci sarà l’elettrico».
L’idrogeno: secondo lei è una strada percorribile?
«Qualche anno fa eravamo i soli a dirlo, ora ci sono importanti progetti europei per molte applicazioni, nella chimica, nella siderurgia. Ci sono progetti importanti anche sul fronte della mobilità sui quali stiamo lavorando, la prospettive sono molto promettenti».
Quale futuro vede per l’auto elettrica?
«Quella dell’elettrico è una strada irreversibile e va assolutamente sostenuta. Le aziende hanno accettato la sfida ed hanno fatto grandi investimenti. Ora bisogna vendere le auto e per farlo è necessario che il Governo confermi gli incentivi. È un momento di confronto tra i grandi marchi ed i componentisti sui tempi della transizione. L’avvento dell’elettrico porterà inevitabilmente l’eliminazione di componenti e di competenze».
Endotermico, idrogeno, elettrico: saranno tre i pilastri dell’automotive.
«Si, a livello mondiale siamo convinti in futuro avremo tutte le trazioni. Ogni trazione si distingue per una sua missione elettiva, sarà il cliente finale a decidere, a scegliere la soluzione che darà il miglior risultato in termini di prestazione, rispetto dei limiti ambientali, e l’aspetto economico quello che si chiama Tco (total cost o ownership)».
Quali saranno le conseguenze occupazionali sulla nostra filiera?
«Oggi in Italia secondo i dati dell’Anfia gli addetti all’endotermico sono circa 70mila, di questi circa 18mila in Lombardia, 6.000 a Brescia. Se non riconvertiamo le aziende i posti di questi occupati potrebbero essere a rischio».
Il processo di riconversione cosa comporta e quanto potrebbe costare?
«Nel caso peggiore dovremo cambiare prodotto e tecnologia: se non vogliamo lasciare a casa la gente, per attuare questo processo di riconversione industriale a livello nazionale serviranno circa 15 miliardi, solo in Lombardia, occorreranno 5 miliardi e nel Pnrr non ci sono risorse destinate a questo scopo. Per questo è indispensabile creare un fondo in grado di sostenere la transizione giusta e razionale, ovvero semplicemente intelligente. L’automotive è stata nel Ventesimo secolo il motore del cambiamento industriale lo sarà anche in futuro».
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