«Vi racconto Max Pezzali, tuttologo che ama la Valcamonica e i casoncelli»

Il loro amore lo noti subito, basta guardare un po' di fotografie e puntare l'attenzione sui volti, sui sorrisi. Sempre tutto vero, sempre tutto sincero. Debora Pelamatti da Niardo e Max Pezzali da Pavia vivono quella storia che lei, «orgogliosamente camuna» (così si inquadra), definisce «una favola». Partita nel 1995 da un'amicizia davanti a un aperitivo in piazza, trasformatasi in sentimento il 6 gennaio 2013 e in matrimonio il 28 aprile 2019. Con un sogno datato 2023: «Sposarci a Niardo, perché non l'abbiamo fatto in chiesa e ci piacerebbe. Vediamo se sarà possibile. Ci tengono i miei genitori, i suoi, suo figlio Hilo».
Ma cos'hanno in comune la ragazza camuna diventata avvocato affermato e una delle maggiori star della musica italiana? Molto più di quanto si possa pensare, perché insieme sanno coniugare le cose semplici della vita con le cene vip, casoncelli e strinù con il piatto di Cracco.
Max Pezzali partirà lunedì 20 marzo con il tour nei palazzetti, giovedì 23 sarà a Brescia al Brixia Forum per una data sold out da mesi. Quella che Debora aspetta con ansia. Ed è proprio lei, tra una battuta e un sorriso, a regalarci qualcosa del Pezzali più intimo, ma soprattutto del loro amore, ogni giorno più forte.
Chi è Debora Pelamatti

«Sono nata il 17 giugno 1974 all'ospedale di Breno e legata a doppio filo a Niardo. Io e Max ci siamo conosciuti una sera del 1995, fidanzati nel 2013 e sposati nel 2019. Sotto le luci della ribalta io? No, perché ho sempre pensato che l'artista in famiglia è uno, è Max che merita visibilità. Io continuo a fare il mio lavoro, sono il legale di una grande azienda milanese, mi espongo solo se ne vale la pena, come ad esempio per la raccolta fondi di Niardo nella scorsa estate dopo l'esondazione del torrente Re. Sia chiaro, sono orgogliosa eccome di essere la moglie di Max Pezzali, ma non voglio essere solo la "moglie di...". Abbiamo dimensioni completamente separate ed è la nostra forza. Lui apprezza molto il fatto che io abbia continuato a lavorare, coltivi le mie amicizie anche fuori dal mondo dello spettacolo. Resto indipendente come d'altronde siamo noi camuni».
Un legame, quello con la Valcamonica, nato presto e mantenuto. «Mi sono laureata a Pavia, ma sono molto legata alla Valle, alla mia Valle. Mia mamma mi ricorda sempre l'episodio di quando a tre anni, tornando da una lunga vacanza estiva al mare, io mi svegliai all'altezza di Lovere e con un sospiro dissi "Ah, finalmente le mie montagne". Mi piace la dimensione di comunità, di famiglia. I miei genitori stanno insieme dal 1963, tutti i giorni vanno a passeggiare mano nella mano. Essere "montanaro" significa anche questo, cresci con principi sani e valori non facili da trovare. Concetti che ho portato anche nella famiglia con Max. Noi viviamo a Pavia e con noi Hilo (14 anni, ndr), il figlio di Max, dall'altra parte della casa ci sono i suoi genitori. Io ho portato qualcosa della mia famiglia bresciana tra noi. Per lui era strano all'inizio che io cucinassi per tutti compresi i suoi, per me era ed è normalissimo».
Max Pezzali e la Valcamonica
Inevitabile che quel territorio aspro e affascinante sia entrato anche nel cuore di Pezzali, «ma non è stato solo merito mio - dice ridendo Debora -. Il suo primo grande amore infatti era di Edolo. Quando nel '95 lo conobbi fu una delle prime cose che mi disse... Il dialetto? Ho provato a insegnargli "se 'l saìe 'ignìe gnàc" (se l'avessi saputo non sarei venuto, ndr) e lui ogni volta mi ricorda "ma quella cosa che dici tu e sembra cinese". In realtà il dialetto lo capisce bene, forse perché assomiglia a quello pavese, detto che a me il bresciano esce quando sono arrabbiata. Una volta eravamo con mia sorella Tiziana a Niardo e lei si fermò con un ragazzo, il quale iniziò a parlare in dialetto stretto. Max si girò e mi disse "Debora non ho capito una parola ma che lingua è"».
Terreno più fertile sono i piatti della tradizione. «Casoncelli e strinù lo fanno andare fuori di testa: mia sorella cucina bene e glieli fa spesso. Quando andiamo in Valcamonica facciamo scorte di cibo».
Dall’amicizia all’amore
«Era il 1995, Pavia, università: con la mia amica Silvia facemmo un aperitivo in piazza e mi presentò Max. A me colpì subito. Lei mi disse quando se ne era andato: "Lui è quello che canta Hanno ucciso l'uomo ragno". Dissi ok, ma rimasi affascinata dalla sua cultura: Max anche oggi è uno che quando parla ti incanta, io lo chiamo il "tuttologo" ma anche i suoi colleghi gli riconoscono questa cosa».
Nasce un'amicizia vera, fatta di confidenza e consigli, fino al 2013. «Io sto con una persona, una storia difficile, Max mi dice "sono stanco di vederti solo come un'amica" e non mi risponde per tre giorni al telefono. Arriva il 6 gennaio, prendo la Micra, attraverso Pavia nella nebbia di notte e gli suono il campanello. A un certo punto mi apre la porta e gli dico "Io ti amo". Una si aspetta un certo tipo di reazione, invece dice solo "Vuoi dormire qui?". Vado in una stanza da sola, la mattina a colazione inizia a parlarmi dell'Inter, la nostra passione comune e del calciomercato. E io ok va bene, però… Poi a un certo punto mi chiede: "Ma tu ieri sera eri ubriaca?". "Ma io sono astemia", la risposta spontanea, peraltro vera. Ci baciamo, da quel momento non sono più uscita di casa».

Nel 2019 il matrimonio, l'inizio di un qualcosa di unico e quando a Debora chiedono di Max lei risponde «è la mia cura. Sì, perché tutte le donne iniziano spesso a vivere una storia con un bagaglio di insicurezze enormi. Io sono arrivata da Max ferita, umiliata dalla mia precedente relazione, lui mi ha teso la mano e lì ho capito che l'amore vero è quello, è la cura dell'altro».
La presentazione a casa
«Non avevo detto ai miei che stavamo insieme... Quando arrivo a Niardo con Max per la prima volta papà Renato è nell'orto che vanga e quando lo vede rimane pietrificato. Poi è la volta di mamma Emilia: "Ecco, mia figlia poteva dirmelo che c'era l'ospite famoso così andavo prima dal parrucchiere!". Da lì in poi è stato tutto normale, ma perché Max ha questa enorme qualità. Con grande naturalezza mi ha inserito nel suo mondo facendomi sembrare tutto semplice, lo stesso è accaduto con i miei. Mio padre lo tratta come un figlio e a volte lo riprendo perché addirittura lo sgrida, ad esempio quando siamo in auto. C'è sintonia perché ama il nostro essere diretti, spontanei».
E ama soprattutto Debora, Max, tanto da mettere in pratica una delle cose più belle che un cantautore come lui può fare. «Alcuni episodi della nostra vita, come quando suonai al campanello di casa per dirgli ti amo, sono finiti nelle sue canzoni. Quello è in "Sembro matto". Mette la nostra normalità nei suoi brani ed è anche quello che piace alla gente, perché sono scene che tutti vivono. La quotidianità».
I concerti, le emozioni
Giovedì 23 marzo è la data che in migliaia hanno segnato col cerchiolino rosso, Debora compresa. «Sono emozionata anche perché a Brescia ci saranno tutti: famiglia, cugini, amici d'infanzia. Il tour nei palazzetti fa parte di quello iniziato con i due sold out a luglio a San Siro. Brescia è città che mi provoca i brividi anche perché la prima volta che cantò qui a fine 2013, dopo che ci eravamo fidanzati ma di fatto lo sapevano solo a Niardo, vennero dal paese con gli striscioni dedicati a me e a lui. Però anche le ultime due date a San Siro, con quell'amore e quell'affetto… Che emozione incredibile! Ho pianto dall'inizio alla fine, sotto al palco con me c'erano mia sorella, i miei nipoti, ma anche due amiche vere come Miriam Leone e Nina Zilli. Cercavo conforto in loro, quando mi sono girata piangevano più di me. Ho pensato: il ragazzo della provincia guarda dove è arrivato». In alto, nell'Olimpo, ma anche grazie all'amore di Debora.
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