Cultura

Vacis: «Il nostro teatro inclusivo, che cura la persona»

Avviato un progetto che è grande opportunità «di integrazione, coesione e anche condivisione»
il regista teatrale Gabriele Vacis - Foto Reporter Favretto © www.giornaledibrescia.it
il regista teatrale Gabriele Vacis - Foto Reporter Favretto © www.giornaledibrescia.it
AA

La bellezza di un teatro fatto non da attori bensì da persone disposte a entrare in relazione fra loro, a «correre il rischio» di un ascolto consapevole degli altri e di se stessi. Gabriele Vacis, uno dei registi più importanti della scena teatrale italiana, ha trovato il contenitore per il suo teatro inclusivo, «opportunità di integrazione, condivisione e coesione», nell’Istituto di pratiche teatrali per la cura della persona, fondato quest’anno a Torino con Roberto Tarasco e Barbara Bonriposi, e sostenuto dal Teatro Stabile torinese.

La mattina di venerdì 1 dicembre Vacis parlerà a Brescia del suo Istituto, nel corso del convegno che FuoriNorma - la rassegna di incontri, laboratori e spettacoli ideata da Antonio Audino e Beatrice Faedi - dedicherà al tema «Politiche e istituzioni per un nuovo teatro sociale»: a Palazzo Martinengo delle Palle (via San Martino della Battaglia 18) saranno raccolte le testimonianze delle più significative esperienze italiane in corso.

Vacis, per quale motivo insistete sulla «cura della persona»?
Perché ormai c’è più gente che fa teatro di quanta non vada a teatro. È un fenomeno generalizzato, basta pensare all’uso che del teatro fanno le scuole. Noi lavoriamo a questo teatro inclusivo che va al di là dello spettacolo, e che non è ancora considerato a sufficienza dalle grandi istituzioni. Eppure si tratta di un fenomeno maggioritario: l’utilizzo del teatro per la cura della persona, attraverso quelle pratiche che nel corso del ’900 i maestri, da Stanislavskij a Grotowski, hanno affinato.

Lei insiste sull’importanza della «presenza»...
Non invento niente di nuovo: lavoriamo su un fondamento che Peter Brook riassume molto bene quando dice che gli attori in scena devono essere presenti a se stessi, consapevoli di sé e degli altri. Il teatro esplora da più di un secolo le pratiche che aiutano a raggiungere tale consapevolezza. Credo che ce ne sia un gran bisogno.

Avete iniziato coinvolgendo le comunità dei migranti: perché?
Abbiamo cominciato da qui, ma questo è solo uno dei progetti dell’Istituto. Ce l’ha chiesto la Compagnia di San Paolo, dalla quale proviene una parte dei finanziamenti, il resto da Regione Piemonte e Teatro Stabile di Torino. Partire da un punto o dall’altro è comunque indifferente: abbiamo tutti bisogno di consapevolezza, di una più precisa percezione della realtà.

Quali sono gli esiti dei primi mesi?
In estate abbiamo organizzato l’Awareness Campus, e ora ogni fine settimana - alle Fonderie Limone di Torino o in altre città piemontesi - teniamo appuntamenti dedicati alla consapevolezza. Stiamo poi costruendo un archivio di video-testimonianze sull’immigrazione: crediamo che dando la parola ai protagonisti si riesca forse a comprendere qualcosa al di là delle statistiche.

Questo modo di far teatro cambia anche il ruolo del regista?
Decisamente. Si tratta di non occuparsi più di produrre forme, in un’epoca di iperproduzione d’immagini che ci allontana dalla bellezza generata dall’inclusione, ma di farle affiorare e contemplarle. Lei lavora molto con i giovani. Come può incidere il teatro sul loro stare nel mondo? La tradizione teatrale novecentesca ci propone il laboratorio, un luogo dove andare alla ricerca di se stessi e rischiare di conoscersi. Per i giovani significa uscire dal guscio, qualcosa che si desidera e si teme nello stesso tempo.

Il primo allestimento dell’Istituto, «Cuore/Tenebra», andrà in scena dal maggio 2018 al Teatro Carignano di Torino. Come mescolerete De Amicis e Conrad?
«Cuore» è un viaggio agli estremi confini del bene e della bontà. «Cuore di tenebra» conduce agli estremi opposti. Cercheremo di comprendere questa contrapposizione. Il viaggio che oggi compiono gli immigrati è simile a quello affrontato dal protagonista del romanzo di Conrad. Dall’altra parte abbiamo una specie di manuale dell’identità italiana. Chi sono adesso gli italiani, in rapporto con questi nuovi italiani che arrivano? Lavorare intorno alle due polarità aiuta a riflettere sulla possibilità di creare un Paese davvero solidale.

 

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

Condividi l'articolo

Iscriviti al canale WhatsApp del GdB e resta aggiornato