Cultura

Un torchio bresciano rese tascabile il bestseller medievale

Giancarlo Petrella
Fu Battista Farfengo a pubblicare la versione ridotta delle avventure di Marco Polo: ci sono solo quattro esemplari al mondo e uno si trova in Queriniana
Il frontespizio della prima edizione a stampa, Venezia 1496
Il frontespizio della prima edizione a stampa, Venezia 1496
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Rinchiuso in un carcere genovese, nel 1298 Marco Polo – di cui si sta celebrando quest’anno il settimo centenario della morte – cominciò a raccontare al compagno di prigionia Rustichello da Pisa le proprie memorie. L’uno riandava con la mente a quanto aveva visto e l’altro riversava sulla carta quelle parole, in una prima versione scritta redatta in franco-veneto, una lingua all’epoca piuttosto diffusa nell’area padana, intitolata «Le devisement dou monde», ossia «La descrizione del mondo».

La raccolta di ricordi

I ricordi risalivano indietro sino al 1271, quando, ancor giovane, Marco aveva accompagnato il padre Niccolò e lo zio Matteo nell’ambasceria intrapresa per incarico di papa Gregorio IX presso l’imperatore mongolo Kublai Khan. Il viaggio li aveva portati attraverso l’Asia centrale in regioni ancora ignote agli europei fino alle vastissime steppe mongoliche, raggiunte dopo tre anni e mezzo, e ai confini del Catai (l’odierna Cina) e infine a Pechino.

Ottenuta la fiducia del sovrano, negli anni successivi Marco Polo svolse importanti missioni che gli permisero di approfondire la conoscenza delle condizioni di vita, delle lingue e dei costumi della Cina e dell’Asia orientale. Giunto presso la corte persiana, dopo alcuni mesi di soggiorno, era ripartito per Costantinopoli e da qui infine in direzione del porto di Venezia, dove era rientrato nel 1295, dopo venticinque anni di assenza.

Le memorie

Lo scritto nacque nello spazio angusto di una cella: un testo dagli sconfinati orizzonti, destinato, senza saperlo, ad affascinare per secoli il pubblico dei lettori. Anche Giovanni Battista Ramusio (1485-1557), il celebre geografo e umanista veneziano, in pieno Cinquecento ne rimase affascinato, tanto da inserirlo nel secondo volume del suo «Delle nauigationi et viaggi», premettendovi le seguenti parole: «E veramente è cosa maravigliosa a considerare la grandezza del viaggio che fecero prima il padre e zio d’esso messer Marco fino alla corte del gran Cane imperatore de’ Tartari. E oltra di questo, come il predetto gentiluomo sapesse così ordinatamente descrivere ciò che vidde. Or, cosa ragionevole ho giudicato di far venir in luce il suo libro, col mezo di diversi esemplari scritti già più di dugento anni, a mio giudicio perfettamente corretto e di gran lunga molto più fidele di quello che fin ora si è letto, acciò ch’il mondo non perdesse quel frutto. E benché in questo libro siano scritte molte cose che pareno fabulose e incredibili, non si deve però prestargli minor fede nell’altre ch’egli narra, che sono vere, né imputargli per così grande errore, percioché riferisce quello che gli veniva detto».

Bestseller

Insieme libro di viaggio e d’avventura, reportage su paesi misteriosi e leggendari ed enciclopedia storico-geografica, l’opera andò incontro a una straordinaria e subitanea fortuna manoscritta (sono circa 150 i codici che la trasmettono) che determinò una fioritura di traduzioni e riscritture, in latino, veneziano e toscano, oltre che nei principali volgari europei. Uno dei capitoli più affascinanti, ma al contempo intricati, della filologia medievale.

Poi, nel tardo Quattrocento, se ne impossessò la nuova arte tipografica, prolungandone il successo e facendone un autentico bestseller.

La stampa bresciana

Un altro dettaglio del frontespizio
Un altro dettaglio del frontespizio

Anche la tipografia bresciana diede il suo contributo. Fu Battista Farfengo a mettere sotto il torchio, nel dicembre del 1500, una versione ridotta dell’opera sotto il titolo «De le maraueliose cose del Mondo».

Un volumetto di facile leggibilità, da portare con sé, nel piccolo formato da tasca, di una sessantina di carte. Ne sopravvivono, ufficialmente, soli quattro esemplari al mondo, uno dei quali presso la Biblioteca Queriniana.

Farfengo era stato preceduto da Giovanni Battista Sessa che quattro anni prima lo aveva stampato per la prima volta, nella sua bottega di Venezia. E ancora i Sessa avrebbero licenziato, nel 1508, la prima edizione del nuovo secolo, inaugurando così la tradizione cinquecentesca dell’opera, scandita da una serie di edizioni che si prolunga sino al 1597.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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