Cultura

«Un film pieno di poesia e ricco di riferimenti al grande cinema»

Il bresciano Dario Ceruti, aiuto regista, su «C’è tempo», prima opera di finzione di Walter Veltroni
Protagonisti del film © www.giornaledibrescia.it
Protagonisti del film © www.giornaledibrescia.it
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Che cosa hanno da dirsi un quarantenne e un tredicenne? Per scoprirlo... «C’è tempo». È il titolo scelto da Walter Veltroni per la sua prima opera di finzione - in uscita dopodomani, giovedì - che, nel solco della poetica intrapresa nell’ambito del documentario, a margine dell’anteprima stampa di ieri a Roma ha annunciato: «Il tema è la meraviglia dell’incontro. È un piccolo film, era giusto che cominciassi con questo: non avevo la presunzione di conoscere tutte le regole della fiction, ma mi sono affidato a una troupe fantastica».

Unico attore professionista, al centro di un cast di esordienti, è Stefano Fresi, nei panni di un uomo che scopre di avere un fratellino. L’adulto è un «cacciatore di arcobaleni», mentre il ragazzino è fin troppo posato. Ad orchestrare la produzione del roadmovie è stato il bresciano Dario Ceruti, aiuto regista, forte di una già collaudata sinergia con Veltroni: insieme hanno attraversato l’Italia negli ultimi anni, per selezionare i protagonisti dei documentari «I bambini sanno» (2015) e «Indizi di felicità» (2017). «Anche la scoperta di tante location - racconta Ceruti al nostro giornale - è frutto di quei viaggi, come lo specchio solare di Viganella, in Piemonte».

Ceruti, c’è un filo conduttore preciso tra gli ultimi documentari e «C’è tempo»? Direi un legame diretto: abbiamo conosciuto i giovanissimi Giovanni Fuoco e Francesca Zezza durante le ricerche per «Indizi di felicità», facevano parte di una classe delle scuole medie seguita da una nostra troupe per tutto il triennio, in collaborazione con un docente. L’idea, poi abbandonata, era inserire nel documentario stralci di vita scolastica. È stato proprio osservando Giovanni che Veltroni ha concepito lo spunto per «C’è tempo», sviluppato con la sceneggiatrice Doriana Leondeff. Lei è anche un esperto casting director (più volte per Paolo Virzì e di recente per l’esordio nel cinema di Niccolò Ammaniti, ndr).

Ci parli delle scelte degli attori... Accanto al ragazzino serviva un interprete adulto pieno di carisma: Veltroni ha pensato a Fresi già in fase di scrittura del film. Una coincidenza: il vecchio maggiolone Volkswagen che l’attore guida in scena è l’auto che usa abitualmente nella vita privata; senza saperlo, in sceneggiatura c’era proprio quel modello. Una curiosità: Stefano è anche un bravissimo musicista e si è rivelato utile in alcune scene dove si ritrova sul palcoscenico con la cantante jazz Simona Molinari.

Per quale tipo di pubblico è pensato il film? È davvero un «film per tutti», nel senso che si rivolge a platee di tutte le età. E non chiamiamola commedia, è qualcosa in più: di certo si sorride, tuttavia immersi in una vicenda piena di poesia, ricca di riferimenti al grande cinema.

Veltroni ha dichiarato la presenza di oltre 50 citazioni cinefile, qualche anticipazione? Innanzitutto ad entrare in scena per un cammeo c’è addirittura Jean-Pierre Léaud, il pupillo di François Truffaut, che lo scelse per il suo indimenticabile «I quattrocento colpi». Posso, poi, svelare alcuni set: il Grand Hotel di Rimini e il cinema Fulgor, dunque rendiamo omaggio a Federico Fellini. Non solo: abbiamo girato nella cascina di Roncole Verdi, frazione di Busseto, utilizzata da Bernardo Bertolucci in «Novecento», citandone un’inquadratura specifica, quella dove il piccolo Olmo cammina sulla lunga tavolata imbandita.

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