Un bimbo tra il filo spinato per il World Press Photo

«Sono rimasto con i profughi sul confine per cinque giorni. A un certo punto è arrivato un gruppo di 200 persone che si muoveva sotto gli alberi, lungo il filo spinato. Mandavano avanti le donne e i bambini, seguiti dai padri e dagli uomini più anziani. Devo essere rimasto con questo gruppo per circa cinque ore, giocando al gatto e il topo con la polizia per tutta la notte. Quando ho scattato la fotografia ero esausto. Erano circa le tre di notte e non si poteva usare il flash mentre la polizia cercava queste persone, perché avrebbe voluto dire farle scoprire. Quindi ho usato soltanto la luce della luna».
Sono le parole di Warren Richardson, il fotografo australiano vincitore dell’edizione 2015 del World Press Photo, la cinquantanovesima del premio consegnato ogni anno all’autore di uno scatto particolarmente significativo per le tematiche di attualità trattate, oltre che per l’abilità mostrata nel farlo.
Richardson ha vinto con l’immagine in bianco e nero di un uomo che passa un bambino piccolo nelle mani di un'altra persona attraverso il filo spinato che divide Serbia e Ungheria, tra Horgoš e Röszke.

La foto è stata scattata il 28 agosto 2015 quando era ancora possibile attraversare il confine, prima che la barriera venisse completata.
L’imponente esodo dei profughi verso l’Europa è stato sicuramente uno dei fatti più significativi dello scorso anno. In realtà lo è stato anche negli anni precedenti e lo è tuttora, dato che il movimento di persone in fuga dall’Africa o dal Medio Oriente, come i siriani, è destinato a proseguire nei prossimi anni. Ciò che è emerso in tutta la sua evidenza nel 2015, però, è l’incapacità dell’Europa di trovare una politica comune per l’accoglienza. Con la tendenza in diversi Paesi, come l’Ungheria, a respingere le persone in arrivo o ad aumentare i controlli alle frontiere sospendendo Schengen, com'è accaduto nei giorni scorsi in Austria. Concetti che la fotografia sintetizza in un elemento molto chiaro: il filo spinato.
È una foto «che ha un grande impatto per via della sua semplicità, specialmente per il simbolismo del filo spinato», ha spiegato Francis Kohn, responsabile della giuria del premio e direttore dell’agenzia France-Press. «Abbiamo pensato che avesse tutto per comunicare visivamente ciò che sta accadendo con i profughi. Penso che sia una fotografia molto classica e, contemporaneamente, senza tempo».
Al centro c’è il viso del bambino che sembra avere gli occhi chiusi. Bisogna concentrarsi per vederne il volto, perché in un primo momento si è attratti dallo sguardo e dall’espressione dell’uomo che lo tiene tra le braccia. Dall’altro lato ci sono le mani che fanno da ponte tra i due Paesi, divisi, dicendoci che quel viaggio continuerà. Tutto è incorniciato dal filo spinato, che in alcuni punti riflette la luce di una notte rischiarata da una luna quasi piena.
In profondità si intuiscono una collina, prati, alberi. Nonostante la sofferenza che comunica, tra le altre cose, ha in sé anche un accenno di speranza. Al contrario dell’altra immagine diventata famosa l'anno passato dopo un naufragio al largo della Turchia: quella del piccolo Aylan, di soli tre anni, morto durante la fuga dalla Siria e portato dalla corrente sulla spiaggia di Bodrum. Due immagini necessarie e complementari, una in bianco e nero e l'altra a colori, parti dello stesso drammatico racconto.
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