Travolgente Currentzis, il maestro d'orchestra che dirige senza bacchetta e senza podio
Eccezionale concerto ieri sera al Teatro Grande, con l’Orchestra Utopia diretta da Teodor Currentzis che ha fatto il suo brillante debutto al Teatro Grande, prima tappa italiana di una piccola tournée di soli due concerti, il secondo dei quali a Roma. L’estroso e travolgente maestro greco affermatosi una quindicina d’anni fa in Russia e ora ritenuto da alcuni un novello Carlos Kleiber, si è presentato al centro del palcoscenico in modo inconsueto, fermandosi di profilo per alcuni istanti con lo sguardo rivolto al lato sinistro del teatro. Trovata la giusta concentrazione, ha dato inizio al primo pezzo in programma: il Concerto per violino di Brahms, solista il virtuoso ungherese Barnabás Kelemen.
Currentzis dirige a mani nude, senza bacchetta (e senza podio), con una gestualità tutta sua, sfruttando in modo creativo braccia, polsi, mani e dita. Per dare un’idea grossolana, potrebbe talvolta ricordare chi gioca alle ombre cinesi. Ma il gesto non è che un mezzo, finalizzato a tradurre in suoni le geometrie della partitura musicale. E il Concerto per violino di Brahms è forse il più complesso tra quelli scritti nell’Ottocento, sia per l’impervia parte solistica a suo tempo concepita per l’arte sopraffina di Joseph Joachim, sia per la sua densa scrittura sinfonica.
L’orchestra
I bravissimi musicisti di Utopia, in tutto un centinaio, con il loro ispirato condottiero hanno perfettamente messo in risalto i contrasti della composizione, perennemente in sospeso tra afflato lirico e slancio eroico. Magnifiche le sonorità ottenute nel passaggio orchestrale in pianissimo che precede il solo vigoroso e marcato del violino (circa a metà della sezione D della partitura), ma anche la transizione dal «tranquillo» all’«animato» nella coda del primo movimento. Bravo il solista nella tecnica delle ottave, nel cantabile in registro sopracuto, nella Cadenza ben contrastata. Soavissimo l’Adagio introdotto da un gran solo dell’oboe; eseguito a tempo giusto l’irresistibile finale. Kelemen, intensamente applaudito, ha concesso come bis il Capriccio n. 1 di Paganini, proposto «à grande vitesse».
Seconda parte con la Quinta Sinfonia di Ciajkovskij, diretta a memoria: la lugubre frase iniziale affidata ai due clarinetti è stata proposta con i dovuti indugi (come più avanti l’appassionato secondo tema), mentre l’Allegro ha trovato una resa senza precipitazione ma con possenti ed entusiasmanti culmini dinamici. Un Ciajkovksij vibrante, energico, lirico, anche di toccante profondità (nell’introduzione dell’Andante), sicuramente da ricordare. Un’Utopia musicale realizzata.

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