Cultura

Toni Capuozzo: «Come nei Balcani, in Ucraina è una guerra tra fratelli»

Il celebre inviato tv sarà ospite domenica 5 giugno alle 20.30 della rassegna «Cult-Cura Festival» a Barghe, dove presenterà il suo ultimo libro
Il giornalista e inviato Toni Capuozzo
Il giornalista e inviato Toni Capuozzo
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Se non fosse per la mezza dozzina di farmaci che ogni giorno deve prendere, probabilmente avrebbe trascorso buona parte degli ultimi cento giorni in Ucraina. Ammette però che oggi non ha più le forze per seguire un conflitto direttamente sul terreno. «In guerra ci vogliono gambe buone per correre dove c’è stato un bombardamento o per scappare da un bombardamento. A 73 anni non ci riesco più». Toni Capuozzo è stato il volto televisivo delle ultime grandi guerre, raccontate microfono alla mano davanti ad una telecamera. C’era quando i conflitti non facevano audience e non animavano i talk show ad ogni ora e su ogni rete.

Quei pezzi scritti e inviati in redazione tramite telex, Capuozzo adesso li ha messi insieme in un libro, finito di stampare ad aprile. «Balcania, 1992-2022, ritorno all’inferno» (Edizioni Biblioteca dell’immagine), che ripercorre il conflitto che ha squarciato la Jugoslavia. La presentazione del libro è il primo appuntamento della nuova rassegna «Cult-Cura Festival», organizzata dall’associazione culturale Biùcultura in sei comuni della media Vallesabbia. L’incontro con Capuozzo si terrà a Barghe, nella piazza antistante il municipio, domenica 5 giugno alle 20.30, con ingresso libero. In caso di maltempo, l’evento si svolgerà nel cinema teatro dell’oratorio. L’organizzazione comunicherà eventuali variazioni sui propri profili social.

Perché ha deciso di scrivere questo libro?

Si stava avvicinando aprile e il trentesimo anniversario dell’assedio di Sarajevo che è stato il cuore di un decennio di guerre Balcaniche concluse solo nel 1999 con i bombardamenti sulla Serbia e la proclamazione dell’indipendenza del Kosovo. Volevo mettere insieme un libro che riprendesse articoli che avevo già scritto in quei tempi quasi giorno per giorno e cercare di capire che lezione ne potesse venire.

E che lezione ha imparato?

Sono cresciuto a ridosso del confine, essendo nato in Friuli e se mi avessero detto che un giorno la Jugoslavia avrebbe cessato di esistere avrei pensato ad un film di fantascienza. Invece è andata così. È stata una guerra sanguinosa tra popoli che si dicevano fratelli. Io sono nato nel 1948 e la mia generazione è cresciuta alimentandosi di certezze: che si andava verso il benessere, che la pace sarebbe stata per sempre. La prima lezione dal crollo della Jugoslavia è che nulla è davvero certo.

Trova dei punti comuni tra la guerra di trent’anni e quella di oggi in Ucraina?

Sono entrambe guerre tra popoli che si assomigliano, che hanno vissuto larga parte della loro storia insieme per amore o per forza. Paradossalmente queste guerre tra popoli che hanno vissuto l’uno accanto all’altro sono più feroci rispetto a quelle tra popoli distanti. Perché c’è qualcosa di intimo, sono quasi faide familiari. Scoppia un odio probabilmente represso a lungo.

In ex Jugoslavia il conflitto durò dieci anni, in Ucraina sono già passati cento giorni. Quanto può ancora proseguire?

Qui arriviamo alla differenza. Quella nei Balcani è stata una guerra nella quale non capivamo chi potesse avere ragione e chi torto e poi era poco comprensibile, tra nomi complicati ed una geografia che non conoscevamo. Non ci toccava direttamente, perché non c’erano ondate di profughi, non ci toccava il portafoglio e non coinvolgeva nessuna grande potenza. Gli Stati Uniti con la Nato sono intervenuti nell’ultima fase bombardando Belgrado, ma era una guerra tra poveri e dei poveri.

Questa invece è una guerra che coinvolge una potenza che ha un arsenale atomico, ci vede coinvolti per l’invio di armi ma anche per la gestione dei profughi. Oltre al fatto che è conflitto che tocca le nostre tasche. Dal gas al petrolio. Non sarà sicuramente breve come conflitto.

Per un inviato, come è cambiato il racconto di una guerra?

Trenta anni fa bisognava bucare un muro di indifferenza ed era difficile trovare spazio in un telegiornale. Era l’Italia di Mani Pulite, delle stragi di mafia, era un’Italia che aveva i suoi problemi. Quella di oggi è una guerra iper raccontata, che si vive ai tempi dei social. È poi una guerra di propaganda, sicuramente da parte russa ma anche dall’Ucraina e di conseguenza da parte italiana.

Nel suo libro racconta anche il ruolo dell’Italia svolto 30 anni fa.

All’epoca la Bosnia fu meta di numerose spedizioni umanitarie. Ricordo la tragedia di Gornji Vakuf con i volontari bresciani uccisi da guerriglieri banditi. E poi Moreno Locatelli, ammazzato durante una manifestazione per la pace a Sarajevo. L’Italia giocò tutte le carte dell’aiuto umanitario, poi intervenne con contingenti militari per garantire la pace e a Sarajevo ancora oggi sono ricordati i nostri militari. Non dimentichiamoci che siamo tutt’ora in Kosovo a difendere i monasteri serbi. Poi c’è stata la pagina meno nobile per il nostro Paese con la partecipazione ai bombardamenti sulla Serbia per proteggere la secessione del Kosovo. Furono bombardamenti che fecero anche vittime civili. Perché in guerra anche le cosiddette bombe intelligenti uccidono innocenti.

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