Giuseppe Terragni, Gio Ponti, Marcello Piacentini, Achille e Pier Giacomo Castiglioni, Ettore Canali, Luigi Caccia Dominioni, Marco Zanuso, Marcello Nizzoli, Ettore Sottsass, Mario Botta, Ico Parisi. Sono alcuni fra i migliori architetti e designer del Novecento italiano che hanno prestato il loro ingegno all’industria bresciana. Mobili per la casa, le scuole e gli ospedali, oggetti di arredamento, sanitari, elettrodomestici, lampade e casalinghi.
Dagli anni Trenta ai giorni nostri lungo un percorso che intreccia arte, artigianato, tecnica, saperi locali, creatività, cultura, mercato. Dall’Italia dell’autarchia fascista al boom economico degli anni Sessanta fino al 2006, quando l’Università di Brescia istituisce il corso di laurea in Disegno industriale. Non solo tondino e tessile, beni intermedi e di filiera.

Arco Flos esposta al MoMa
Nella vicenda industriale bresciana trovano posto storie di aziende (morte o ancora attive) che hanno ampiamento attinto all’inventiva dei designer. Toccando anche i vertici: citiamo la
Flos di Bovezzo, che può vantare alcune sue lampade nelle collezioni del MoMa di New York, del Centro Pompidou di Parigi o del Victoria&Albert Museum di Londra. D’altronde, diverse creazioni per ditte bresciane hanno vinto il Compasso d’oro, il riconoscimento alla qualità del design italiano.
Queste microstorie sono raccontare nel volume
«Design. Grande designer e industria bresciana» (61 pagine, 9 euro) di Marcello Zane per la collana Bs64 di Liberedizioni. Zane esplora un filone ancora poco frequentato, cominciando da due ditte di mobili, la
Beltrami di Capriolo e la
Palini di Pisogne. Nel 1932 la prima affida a Piacentini il progetto di una poltroncina; la seconda, nel 1936, fa lo stesso con Giuseppe Terragni, il massimo esponente del razionalismo italiano.
La Palini, in particolare, brevetta modelli di
arredi scolastici (dai banchi alle cattedre, dagli armadi alle sedie) che nel secondo dopoguerra, per decenni, diventano paesaggio quotidiano degli alunni italiani. Anche la ditta di Nino Ferrari, artigiano del peltro, incrocia negli anni Trenta un grande del disegno industriale come Gio Ponti, al quale commissiona lampade in ottone e coppe in peltro, mentre dopo la guerra nascono servizi da caffè e tè, fruttiere, zuppiere, piattini. Dalla seconda metà degli anni ’50, Ponti collabora anche con l’
Ideal Standard, rivoluzionando l’idea stessa di bagno.

Tavolo e sedie Reguitti fimate Gio Ponti
Una lunga storia di dialogo fra azienda e designer ha come protagonista la
Reguitti, che brevetta decine di mobili. Negli anni ’60 per la ditta di Agnosine firmano architetti come
Gio Ponti, Marcello Nizzoli (sua la Lettera 22 della Olivetti), CarloHauner, Angelo Mangiarotti. Mobili, ma anche elettrodomestici, sia pure con nomi meno famosi e fatti in casa.
Citiamo la
Elettroplastica che produce piccoli ventilatori, macinacaffè, tostapane, asciugacapelli, frullatori; la Elettropadana Century crea apparecchi radio. Nel libro di Marcello Zane ci sono storie di eccellenza e di successo, come la Flos, e vicende minori comunque esemplari come la ditta di
legnami Pasotti, che costruisce casette prefabbricate.
Nel 1970 vince il Compasso d’oro per il modello creato da Claudio Conte e Leonardo Fiori. Oppure la Fonderia Perani, che affida ad Achille Castiglioni il disegno dei radiatori. Discorso a parte merita il comparto dei casalinghi di Lumezzane, che nel secondo dopoguerra si apre all’idea di ricerca estetica. L’autore cita l’Inoxpran, la Pintinox, la Zani&Zani (che nel 1954 produce un secchiello disegnato da Bruno Munari), la Serafino Zani.