Cultura

Sigfrido Ranucci: «Sul web serve più stampa accreditata contro le fake news»

Nicola Rocchi
Il giornalista che conduce Report su Raitre ha aperto la decima edizione del festival Oltreconfine nel Teatro Giardino di Breno
Sigfrido Ranucci -  © www.giornaledibrescia.it
Sigfrido Ranucci - © www.giornaledibrescia.it
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Sigfrido Ranucci ieri, nel Teatro Giardino di Breno, ha aperto la decima edizione del festival Oltreconfine. Il giornalista ha raccontato le storie che ha raccolto nel libro «La scelta» (Bompiani, 320 pp., 20 euro): quelle delle inchieste giornalistiche che ha condotto per la Rai, dove da sette anni è succeduto a Milena Gabanelli alla guida di «Report» su Raitre. Una trasmissione amata da molti spettatori e odiata da molti protagonisti delle inchieste: Ranucci racconta di collezionare in media due querele a puntata e dal 2021 vive sotto scorta per le minacce ricevute da un boss legato alla ’ndrangheta.

Ranucci, quali sono gli ingredienti di un’inchiesta ben fatta?

Il mio libro può essere considerato un «tutorial» per quando si realizzano certi tipi di inchieste e si vanno a toccare gli interessi del più grande Paese al mondo o del politico italiano più potente del momento. Al di là di tutti gli accorgimenti da prendere dal punto di vista della documentazione, bisogna mettere in cantiere la possibilità che ci siano reazioni. Ci si deve preparare con grande scrupolo, andando anche a recuperare la memoria di una notizia o di un fatto.

Questa memoria è stata utile in molti casi?

Lo fu, ad esempio, nel caso dell’inchiesta condotta per Rainews sul bombardamento americano del 2004 su Falluja (Iraq) con armi al fosforo. Fu fondamentale capire cosa fosse questo agente chimico, come entrasse nelle convenzioni internazionali e quante volte e da chi era stato usato in passato, anche nella Seconda guerra mondiale. Questo aiuta a rafforzare la narrazione.

Come fate a districarvi tra manipolazioni e fake news?

È un grande tema, perché fare un giornalismo d’inchiesta serio comporta oggi uno slalom fra tantissime fake news che viaggiano sul web. Il web è come un bibliotecario ubriaco: nessuno ti dice che una notizia è vera, per capirlo ci vuole un grande lavoro di ricerca. Per questo bisognerebbe che la stampa accreditata fosse più presente sul web, perché la rete è la fonte d’informazione a cui oggi attinge la maggior parte della popolazione, soprattutto i giovani e chi non ha gli strumenti per capire. Ed è un’informazione veicolata da un algoritmo che non giudica in base alla veridicità della notizia, ma in base alla sua capacità di attirare l’attenzione.

Quanto pesano il caso e gli incontri fortuiti?

Il libro è anche un tributo a personaggi sconosciuti che hanno avuto un ruolo fondamentale nella realizzazione delle mie inchieste. Un vagabondo mi aiutò a realizzare l’inchiesta su Falluja, la più importante nella storia della Rai dal punto di vista internazionale, dandomi l’ispirazione per trovare le riprese del bombardamento con le armi al fosforo negli archivi Rai. Un tassista mi permise di trovare i quadri d’autore nascosti da Calisto Tanzi dopo il crollo di Parmalat. Quello che sono oggi lo devo molto anche a persone come queste, che hanno scelto di condividere con me le loro conoscenze.

Come vede la libertà di stampa oggi in Italia?

Non benissimo. Ci sono 250 giornalisti sotto tutela, di cui 22 completamente sotto scorta. Ci sono giornalisti di giornali ed emittenti locali pagati 10 euro a servizio, mentre l’Europa chiede l’equo compenso che non viene ancora applicato. È difficile in queste condizioni chiedere a qualcuno di mantenere la schiena dritta in un contesto di querele e richieste di risarcimento danni.

C’è una scelta di cui è particolarmente orgoglioso?

Per formazione familiare, mi viene naturale scegliere sempre il bene pubblico, mai l’interesse personale. Di questo vado orgoglioso. Se sono rimasto un dipendente Rai, nemmeno tra quelli più pagati, è per la scelta di non asservirmi ai partiti politici. Ho applicato un giornalismo libero e ne abbiamo pagato le conseguenze, perché gli attacchi che riceviamo sono sotto gli occhi di tutti. Ma io cerco di tutelare il Dna infuso a «Report» da Milena Gabanelli.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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