Si dice «ciaspole» o «caspole»?

Provare a ricostruire la storia delle parole è - spesso - come camminare sulla neve fresca: si rischia di affondare. Servono quindi l’attrezzatura adatta e la giusta attenzione a dove si mettono i piedi.
È questo il primo pensiero che mi nasce quando un collega chiede: «Ma allora, si dice ciaspole o caspole? Hanno ragione gli organizzatori della Ciaspolata della Val Palot o quelli della Caspolata di Vezza d’Oglio?» La verità è che hanno ragione entrambi, perché entrambe le parole hanno un documentato radicamento territoriale.
Le origini
Entrambi i termini - naturalmente - indicano la stessa cosa: sono le racchette da neve. Sono un oggetto semplicissimo e antichissimo, che secondo gli studiosi nasce oltre 4.000 anni fa tra i cacciatori nomadi delle regioni siberiane e nord americane. In Europa sarebbero arrivate grazie ai viaggiatori francesi che nel Settecento le videro usare ai popoli indiani del Canada.
Prima dell’arrivo della plastica e dei materiali tecnici disponibili oggi, si trattava di un elementare telaio tondo od ovale al cui interno veniva intrecciata una fitta rete di corda o di legacci di pelle. Il tutto va legato allo scarpone allargando così la base d’appoggio del piede, e consentendo in questo modo di galleggiare sulla neve. Inevitabile che nei decenni andati i primi italiani a utilizzarle fossero montanari, boscaioli, cacciatori. Gente alpina, quindi.
Geografia del termine
E allora? Ciaspole o caspole? Il termine evidentemente non è italiano di nascita, ma all’odierno uso nazionale arriva a partire da una originaria diffusione geografica molto circoscritta. La parola «ciàspola» è storicamente documentata in Trentino, segnatamente nella Val di Non. La parola «càspola» è invece radicata nel dialetto dell’alta Val Camonica, da Edolo in su, e in ampie zone della Valtellina, tra cui sicuramente Grosio.
Il camminare con le racchette da neve è solo da pochi decenni una attività sportiva o ludica, e i primi a diffonderne questo utilizzo sorridente sono stati gli organizzatori della «Ciaspolada della Val di Non», appuntamento capace dal 1973 ad oggi di richiamare migliaia di appassionati. Tante le località turistiche che negli anni li hanno seguiti nell’impresa, promuovendo «Ciaspolate» un po’ ovunque e diffondendo quindi l’utilizzo del termine «ciaspola». Un vento linguistico che però non ha travolto gli orgogliosi altocamuni, nel cui dialetto la racchetta da neve continua a chiamarsi «càspola».
Etimologia
Quale l’origine? È qui che il piede del linguista rischia maggiormente di affondare nella morbida coltre nevosa. Proviamo a muovere qualche passo, con prudenza. Tanto «ciàspola» quanto «càspola» suonano come nipotini della parola latina «caespes» che indica tanto la zolla erbosa quanto un complesso di steli e rami intrecciati.
Per questo si dice «incespicare» nel senso di inciampare in un rilievo del terreno, ma si dice anche «cespo di insalata» per riferirsi ad un groviglio inestricabile di foglie. Il diminutivo «caespula» (piccola «caespes») può quindi esser stato usato nei secoli per indicare un piccolo stretto intreccio di rametti e legacci (e infatti dalla stessa radice latina arriverebbe secondo i linguisti anche la parola italiana «cesta») proprio come una rete di legacci e cordicelle erano le primitive racchette da neve. Nei dialetti alpini la «caespula» diventa pian piano la «ciàspola» in trentino o la «càspula altocamuna. Secoli linguistici sotto i nostri piedi.
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