Cultura

Severgnini: «Sono scomparsi i giornalisti ironici, ora il mondo è dei sarcastici»

Il giornalista e scrittore ne parlerà venerdì al Vittoriale per il Festival della Bellezza: «L’ironia eleva il discorso sopra la mediocrità»
Beppe Severgnini, giornalista e scrittore, sarà ospite al Vittoriale
Beppe Severgnini, giornalista e scrittore, sarà ospite al Vittoriale
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Un grande giornalista del nostro tempo si pone una domanda semplice, rispondendo alla quale affronta le differenze tra umorismo, ironia e sarcasmo, con particolare attenzione all’ambito della scrittura. «Gli umoristi sono tristi? Ironia e giornalismo tra XX e XXI secolo» intriga fin dal titolo: lo one-man-show vedrà in scena Beppe Severgnini, penna dalla verve elegantemente irriverente, al Laghetto delle Danze del Vittoriale di Gardone Riviera, venerdì 4 agosto, per il Festival della Bellezza (alle 21.15; biglietti da 13,30 euro in prevendita; info su festivalbellezza.it).

Abbiamo intervistato Severgnini.

Beppe, gli umoristi sono tristi?

Sì, lo sono. Ma questo non impedisce loro di essere divertenti, talvolta molto divertenti, ed efficaci.

Qual è il confine tra umorismo e ironia?

È sottile, per cui mi soffermo volentieri su tre esempi al limite: Giovanni Mosca, uno che si risentiva per la definizione di umorista, ma che lo era, e per di più bravissimo; Beppe Novello; Giovannino Guareschi. Ma anche Mark Twain era un raffinato umorista, al pari di tutti coloro che hanno saputo usare l’ironia nel loro mestiere come strumento di evasione, ma anche per elevare il discorso al di sopra della mediocrità.

A tal proposito, mi sono segnato un suo ragionamento di qualche tempo fa: «L’ironia è l’opposto della mediocrità. Non esiste "l’ironia media". L’ironia è, per definizione, speciale. È la capacità di leggere la realtà in modo originale; e di dominarla, invece di farsene dominare». E pure un altro: «L’ironia, insieme alla misericordia, è la forma suprema di elasticità, un esercizio quotidiano di tolleranza, una prova continua di umanità».

Che l’ironia sia speciale è confermato dal fatto che non esiste un sostantivo per definire chi lo è, ma solo un aggettivo, al massimo un aggettivo sostantivato. Io amo la lezione degli ironici, il modo elegante con cui guardano il mondo e la leggerezza con cui trattano anche le distorsioni della società.

Stando alla presentazione, tra i vari autori toccati, ci sono Leo Longanesi, Prezzolini, Fortebraccio, Montanelli, Flaiano, Luca Goldoni: a parte quest’ultimo, tutte figure del passato. Nessuno tra i giornalisti di oggi?

Mi pare che la categoria stia scomparendo. Nella nostra epoca dominano i sarcastici, come Marco Travaglio, di cui sono pieni i giornali. I sarcastici sono sempre incazzati, e non si capisce bene perché... Succede anche che giornalisti ironici, a un certo punto subiscano un’inspiegabile trasformazione...

A chi pensa?

All’amico Vittorio Feltri. Prima che gli scappasse il piede dalla frizione, sfoggiava un’ironia immaginifica. Ricordo che quando seguivamo le Olimpiadi di Seul (nel 1988, ndr), facevamo a gara per inventarci l’articolo più ironico, e vinceva quasi sempre lui. Poi è diventato il re dei sarcastici.

Dove colloca Montanelli, suo mentore e direttore per anni, nei confronti del quale si è sempre dichiarato debitore?

Nel campo degli ironici, senza dubbio. Montanelli ha un’ironia straordinaria, che ti accende il cervello, una maestria che ti costringe alla lettura intelligente. Se poi parliamo di debiti, io ho conosciuto Longanesi e Prezzolini proprio attraverso Montanelli, mentre Flaiano è stata una mia lettura autonoma. Un altro grande era Achille Campanile. E poi Giorgio Manganelli: il suo «Lunario dell’orfano sannita», spiritoso e scoppiettante, è stato fonte di ispirazione per il mio «Italiani con la valigia».

Farà altri accenni?

A D’Annunzio. Per una forma di rispetto verso il padrone di casa e per omaggiare mio padre notaio, che possedeva tutti i libri scritti da D’Annunzio e molti di quelli scritti su D’Annunzio. Tra questi ultimi c’è una rarità assoluta, che porterò con me, «D’Annunzio nella caricatura mondiale»: il Vate era come una rock star di oggi, il suo stile retorico e la sua vita offrivano grandi spunti agli umoristi.

Da appassionato interista, come classifica la sceneggiata di Lukaku: tradimento alla Iago o siamo in una commedia?

Ritengo che il calcio sia materia da affrontare con autoironia, cosa che ho fatto fin dai tempi di «Interismi» (fortunato saggio del 2002, ndr): il «tradimento» di Lukaku si metabolizza con l’autoironia.

 

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