«Se dicessimo la verità», lo spettacolo sulle mafie al teatro Borsoni

«Non si avverte il pericolo ed è vaga la percezione del problema», spiega Giulia Minoli annunciando lo spettacolo «Se dicessimo la verità. Ultimo capitolo», al Teatro Borsoni di via Milano 83 il 12 e 13 febbraio, sempre alle 20.30, per la Stagione del Ctb.
Da una sua idea è nata la drammaturgia, in collaborazione con la regista Emanuela Giordano, per una più diffusa e incisiva consapevolezza di «quella rete mafiosa, trasversale e onnipresente, che vorrebbe sconfitta la coscienza collettiva, la capacità di capire e reagire». Ogni rinnovata edizione dello spettacolo, che torna a Brescia a grande richiesta, aggiorna con ulteriori storie vere il quadro di un fenomeno minacciosamente attivo anche nel nostro territorio.
Contro l’indifferenza s’impegna l’associazione «Crisi come opportunità», promotrice di questo teatro civile che si avvale dell’interpretazione di Anna Manella, Simone Tudda, Lucia Limonta e Daniele Molino, con musiche originali di Tommaso Di Giulio. Prodotto dal Ctb in collaborazione con Piccolo Teatro di Milano - Teatro d’Europa, Stabile di Bolzano e Fondazione Trg, e con il patrocinio di Fondazione Comunità Bresciana. Biglietti esauriti, lista d’attesa dalle 20.
Dall’intervista a Giulia Minoli, qualche anticipazione.
Come è cambiata nel tempo la vostra proposta?
Lo spettacolo è nato tredici anni fa al Teatro San Carlo di Napoli, per raccontare le storie di chi combatte nel proprio lavoro la criminalità organizzata, con l’obiettivo di contrastare una pericolosa distrazione di massa. Dalla camorra l’attenzione si è spostata sulla ‘ndrangheta, che è presente anche sul vostro territorio. Al Nord, dove ha sede il potere economico, il radicamento è fortissimo e coinvolge l’alta finanza, professionisti che fanno da tramite con le amministrazioni pubbliche, imprenditori in difficoltà. È diventato più difficile riconoscere le mafie, abbiamo riscontrato che l’attenzione è un po’ calata e ci ripromettiamo di far comprendere che ne è condizionata la nostra vita quotidiana.
Come si caratterizza la vostra messa in scena?
Gli attori propongono storie nella forma del teatro civile, in relazione diretta con il pubblico, intendendo il teatro come luogo in cui raccontare e raccontarsi, come spazio laico di condivisione umana. In questi anni sono più di sessanta le storie raccolte: storie vere di persone che ci conoscono, partecipano alle repliche, vengono nelle scuole come compagni di viaggio in questo percorso. In questa versione proponiamo ad esempio la storia della cronista Francesca Grillo, dell’imprenditore divenuto testimone di giustizia Gaetano Saffioti, di Alessandra Cuevas che ha fondato un’associazione intitolata alla sua mamma, di Maria Chiudano rapita da chi voleva impadronirsi della sua terra.
A chi è rivolto particolarmente il messaggio?
Crediamo in una relazione molto potente tra il teatro e la scuola. Gli studenti vengono a teatro preparati attraverso i laboratori, dimostrano una grande partecipazione dal momento in cui accendi il loro interesse. Vogliamo costruire anticorpi contro il virus dell’indifferenza, far capire che si può prender parte al cambiamento.
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