Raffaella Giordano: «Affido il mio storico assolo a Stefania Tansini»

Era il 2005 e il mondo della danza era piuttosto diverso da com'è ora. Fu in quell'anno che Raffaella Giordano – protagonista della danza europea da oltre trent’anni, formatasi con Carolyn Carlson e Pina Bausch e cofondatrice del collettivo Sosta Palmizi – creò «Tu non mi perderai mai», assolo liberamente ispirato al Cantico dei Cantici. L’opera sarà protagonista al Teatro Grande mercoledì 22 ottobre alle 20, in Sala Palcoscenico Borsoni, ma in scena non ci sarà Giordano: a raccogliere il testimone è Stefania Tansini (biglietti al botteghino, sul sito del teatro e su VivaTicket). Ce ne parla Giordano.
Raffaella, come nacque questo lavoro?
È sempre delicato parlare della genesi di uno spettacolo, perché ogni creazione nasce da condizioni diverse. In quel momento cercavo di cogliere l’essenziale della nostra condizione umana attraverso pochi gesti nello spazio. La scena era volutamente scarna: un foglio di terra e una piccola luce su piedistallo. La figura femminile partiva dal pubblico, per dire che partiamo tutti dallo stesso punto. Volevo che il pubblico entrasse in un movimento esposto, in una sorta di sovraesposizione del tempo, come in una fotografia che fa emergere un’immagine nascosta. Il vuoto non è mai nulla: è spazio vivo. L’ispirazione arrivò dal Cantico dei Cantici, dove ho trovato un amore estremo, terreno e insieme inafferrabile. Da lì è nato un lavoro che parla di accoglienza e di presenza nel mondo.

Com’è vedere l’esecuzione da parte di un’altra persona?
Questo assolo conteneva molti elementi fondanti del mio percorso, si era incarnato nel mio corpo. Con Stefania è riemerso dalla terra, attraverso la sua figura e la sua essenza. Lei incarna naturalmente quel segno, in modo pulito e dedicato. Non abbiamo immaginato una reinterpretazione, ma un passaggio di senso, uno scambio di ascolto e fiducia. È stato un dono reciproco. Dopo vent’anni posso guardarlo con più distanza: mi emoziona vedere che il lavoro è ancora vivo, che conserva la sua forza anche in un’altra persona.
Sono cambiati drammaturgia, scena o costumi?
A cambiare è tutto e niente. È cambiato tutto perché lo danza Stefania, e niente perché abbiamo mantenuto gli elementi originari: quel vestito, quella luce. È come se i segni del passato fossero riemersi in una forma nuova ma fedele.
Come vede oggi la danza contemporanea? C'è una tendenza, un minimo comune denominatore generazionale?
È un mondo vasto e in movimento. Nel nostro Paese c’è una grande fioritura di coreografe, coreografi, danzatrici e danzatori rispetto ai miei inizi. È un ambiente rigoglioso, anche se attraversato dalle difficoltà del presente. Forse non abbiamo ancora espresso fino in fondo il dolore e la trasformazione che viviamo, ma arriveranno tempi di scritture più profonde. Oggi serve muoversi con rapidità e duttilità, tenendo però in considerazione i diktat dei bandi pubblici e delle logiche esterne. La libertà creativa potrebbe rischiare di essere ingabbiata, eppure è magnifico vedere quante persone scelgono questa arte. La danza è linguaggio del corpo, e il corpo è meraviglia.
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