Cultura

Quando i «Macc de le ure» incantarono il Giannettino di Collodi

L’autore toscano e la nostra città: alla morte fu celebrato come giornalista dall’«ingegno brillante»
Lo scrittore Collodi, al secolo Carlo Lorenzini, visto da Angiolo Tricca - Foto © www.giornaledibrescia.it
Lo scrittore Collodi, al secolo Carlo Lorenzini, visto da Angiolo Tricca - Foto © www.giornaledibrescia.it
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«La morte improvvisa di un giornalista»: titolava così la Sentinella bresciana del 28 ottobre 1890, riprendendo una notizia telegrafata da Firenze, il giorno prima. E chi era la persona scomparsa? «Carlo Lorenzini più conosciuto in giornalismo sotto lo pseudonimo di Collodi, (...) conosciutissimo (per) il suo libro per i fanciulli Le avventure di Pinocchio».

Ci sono autori oscurati dal successo dei propri personaggi, come, per l’appunto, Carlo Lorenzini. Collodi, pseudonimo che ricordava il paese della madre, fu, innanzitutto, un giornalista, come ricordato dalla Sentinella bresciana: «Era molto conosciuto e specialmente nel ceto giornalistico, assai stimato pel suo ingegno brillante nonché per la sua modesta semplicità di vita. Godeva quindi simpatie pressoché universali».

Di umili origini, si formò con letture onnivore quando lavorava come commesso alla libreria Piatti di Firenze. Fu, anche, fervido patriota, partecipando alla Prima guerra di Indipendenza con i volontari toscani e, quindi, alla Seconda con i cavalleggeri di Novara. Il giornalismo fu il suo elemento naturale: collaborò a testate, quando addirittura non ne fondò egli stesso, periodici come «Il Lampione» e «Lo Scaramuccia».

Seppe essere, di volta in volta, critico teatrale e musicale, vicino all’ambiente degli Scapigliati e dei Macchiaioli, polemista satirico. Contribuì, anche, alla compilazione di un dizionario, attento agli eccessivi francesismi: non è un caso se Pinocchio fu, poi, definito burattino anziché marionetta, termine quest’ultimo derivante dal francese.

La vocazione di scrittore per l’infanzia sarebbe arrivata per gradi e, va detto, anche per necessità economiche: Pinocchio fu il punto d’arrivo, geniale, di un lungo percorso. E questo celebre libro, giova ricordarlo, uscì, inizialmente, a puntate su una testata, rivoluzionaria per i tempi: quel «Giornale per i bambini», che aprì la strada a tante pubblicazioni successive per i più piccoli.

Fondamentale per Collodi la traduzione di novellisti francesi per ragazzi, nel volume «I racconti delle fate», edito nel 1875. Perfezionò molti dei tratti del suo burattino grazie, poi, ad una serie di suoi testi scolastici, che avevano per protagonista Giannettino. E ne «Il viaggio per l’Italia di Giannettino», c’è spazio anche per Brescia. In questo libro di geografia, sotto forma di racconto, il Giannettino descrive all’amico Minuzzolo la nostra città e località della provincia. Essendo un testo destinato a formare una coscienza civica nei giovani lettori, i luoghi ricordati sono, spesso, quelli delle patrie battaglie: Desenzano, ad esempio, in quanto punto di partenza per San Martino, Solferino.

E di Brescia che dice? «Qualche secolo fa era una delle più ricche di Lombardia; ma nel 1512 i Francesi la saccheggiarono, la incendiarono e da quel disastro non si riebbe più. Nell’aprile del 1849 oppose una resistenza disperata ai battaglioni austriaci. (...) Quel contegno valse a Brescia il titolo di eroica e il Carducci la chiamò Leonessa d’Italia». Giannettino ci informa che la città ha 100.000 abitanti, belle chiese e palazzi ma soprattutto «la torre dell’orologio. Questo orologio suona come non avevo veduto mai (...) Allo scoccare d’ogni ora vengono fuori due uomini di ferro, i quali con un grosso martello in mano battono le ore sulla campana».

Un ricordo ben preciso quest’ultimo della nostra città, di chi Brescia, molto probabilmente, seppur di fretta, l’aveva vista durante le guerre d’Indipendenza. Ma neppure Brescia si è scordata di Collodi, dedicandogli una serie di testi nel corso degli anni, ultimo dei quali una versione dialettale di «Le avventure di Pinocchio», nella traduzione Gianluigi Tregambi con scritti di Tonino Zana e Maurizio Bernardelli Curuz.

 

 

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