Cultura

Prenderci cura del diritto anche di non essere disinformati

Anna Masera
Tra l’infodemia per fake news e sovraccarico, serve la guida di giornali di cui il pubblico si fidi
Carta stampata, tv, radio e web nella redazione del Giornale di Brescia
Carta stampata, tv, radio e web nella redazione del Giornale di Brescia
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Stiamo vivendo un’epoca in cui l’informazione si sta dimostrando cruciale per sapere che cosa succede intorno a noi. Non che prima fosse meno importante. Attorno all’informazione che tutti noi, in questo mondo iperconnesso, ci scambiamo incessantemente, ha sempre ruotato il mondo. L’informazione - sia quella buona sia quella cattiva - determina tutte le scelte, i risultati elettorali, il successo o l’insuccesso di un leader, modifica il consenso, è un piano su cui avviene il confronto o lo scontro politico. Ma l’informazione è importante anche per tutti noi che consumiamo quella veicolata dai mass media e che produciamo o condividiamo attraverso i social network: agorà digitali governate da algoritmi ideati per l’intrattenimento, che tendono a intrappolare chi non è consapevole del loro meccanismo di funzionamento.

I valori

Dall’informazione passano i valori che ci accomunano, così come le opinioni che ci dividono. In che stato versa l’informazione oggi? Siamo nell’era dell’«infodemia», ha decretato l’Organizzazione Mondiale della Sanità quando è esplosa la disinformazione sul Covid, termine coniato per indicare una pandemia informativa. La questione riguarda sia chi l’informazione la consuma sia chi l’informazione la produce. Perché contribuiamo tutti al sovraccarico informativo, e quando manca l’attenzione necessaria per orientarsi si diventa facili prede della cattiva informazione. Donald Trump per screditare i suoi nemici ha lanciato il termine «fake news» e ha voluto propinarci i suoi «fatti alternativi».

La disinformazione

Ma la disinformazione è sempre esistita. Già la studiosa Hannah Arendt (autrice de «La banalità del male») alla fine degli anni Sessanta spiegava che la libertà di espressione diventa una farsa se i fatti non sono condivisi. Cioè non dobbiamo confondere la libertà di opinione con la libertà di opinare i fatti, perché quando questo avviene non stiamo esprimendo un’opinione sulla medesima realtà e non si tratta più di un dialogo, ma di tanti monologhi. Come spiega bene Antonio Nicita nel suo ultimo libro «Il Mercato delle Verità - Come la disinformazione minaccia la democrazia» (Il Mulino), quando non condividiamo i fatti non c’è più quel dialogo a cui pensavano i padri liberali, a partire da John Stuart Mill quando difendeva il valore sociale della libertà di espressione. Abbiamo il diritto anche a non essere disinformati. Questo scenario offre un rinnovato ruolo ai giornali che ne sapranno cogliere l’opportunità. L’informazione moderna è nata con i giornali. Ma i giornali in tutto il mondo oggi sono in crisi perché faticano a reggere i costi di produzione, che sono alti, e far percepire il loro valore. Eppure, gli avvenimenti che negli ultimi tempi hanno sconvolto il mondo - dalla pandemia alla guerra in Ucraina - hanno dimostrato più che mai l’importanza del giornalismo quando ci dà garanzia di affidabilità e ci aiuta a capire quello che succede.

Fiducia

Il nodo cruciale è proprio quello della fiducia, che è alla base del rapporto con il pubblico. E per ottenere la fiducia in questo complesso mondo dell’informazione, da quando i lettori sono anche utenti digitali che grazie ai social partecipano in maniera attiva alla conversazione globale e alla produzione di contenuti informativi, serve credibilità. Come si conquista la fiducia? Questo è il grande tema dei nostri tempi, alla base anche della riflessione sul modello economico sostenibile dei giornali. Servono trasparenza, umiltà, empatia. Essere trasparenti significa non manipolare i lettori e impegnarsi a non distorcere i fatti per farli aderire a una posizione. Essere umili significa saper chiedere scusa e correggere quando si sbaglia, perché sbagliare è umano, e magari anche spiegare l’errore. Accettare che i lettori possano saperne più di noi. Essere empatici significa che i lettori devono essere davvero al centro delle scelte di un giornale, per offrire un servizio alla propria comunità o porsi come punto di riferimento, e non per mero opportunismo, per vendere una copia o un abbonamento in più. Questo non significa che un giornale non debba cercare la sostenibilità e quindi di far quadrare i conti: ma quando il pubblico percepisce il valore del servizio offerto, capirà che l’informazione di qualità costa. E va sostenuta. 

La policy del GdB

Come entrano i vituperati social media in questo patto di fiducia? Sono una grande occasione per ricostruirla, la fiducia, perché è lì che si trova la gente: sulle piattaforme social. Lo stiamo facendo anche noi al Giornale di Brescia, dove abbiamo recentemente pubblicato una social media policy per promuovere il dialogo e il confronto in un ambiente sicuro. Ci si può educare reciprocamente a una relazione costruttiva. Il problema della disinformazione non riguarda solo i social, ma tutti i media e tutti noi. Come fare per combatterla è complicato - diffidate da chi la fa semplice - perché stiamo parlando della libertà di espressione. Serve alfabetizzazione digitale e mediatica, offrire strumenti alle persone per districarsi tra le informazioni e la disinformazione. Impareremo tutti a usare i social in maniera più proficua e costruttiva. Arianna Ciccone, fondatrice del Festival internazionale di giornalismo a Perugia, per spiegarlo usa la metafora dei primitivi col fuoco. Non sapevamo che potevamo usarlo per cucinare e per riscaldarci, ci siamo bruciati più volte. Ma poi ci siamo arrivati. Non disperiamo.

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