Pilar del Rio: «La Lanzarote del mio Saramago, rifugio dell’ultimo viaggio»
Forse se c’è una casa è quella che «ci sta aspettando», così come ci attendono persone che, quando incontriamo, appunto ci fanno sentire «a casa». Per il celebre scrittore portoghese José Saramago, Premio Nobel per la letteratura nel 1998, il buen retiro è stato l’isola di Lanzarote, dove ha vissuto dal 1992 al 2010, anno della sua scomparsa, con la moglie Pilar del Rio, a sua volta giornalista e scrittrice. La compagna dell’ultimo tratto, ma probabilmente il più significativo della sua vita, ha pubblicato «L’intuizione dell’isola» (edito in Italia da Feltrinelli): il ricordo di un uomo, oltre che di un intellettuale e di un artista; un «atto d’amore incorruttibile».
L’incontro
Ne ha parlato la stessa autrice, ieri a Brescia, nell’evento organizzato nell’ambito del Dopo Librixia-Fiera del libro (la manifestazione promossa da Confartigianato Imprese Brescia e Lombardia orientale attraverso il proprio circolo culturale Ancos e dal Comune di Brescia) in collaborazione con la Casa della memoria, conversando con Laura Forcella.
Intanto «l’intuizione»: «Di un poema» specifica Pilar del Rio, riferendosi a «La zattera di pietra», romanzo (1986) in cui Saramago immagina la penisola iberica (composta da Portogallo e Spagna) che si stacca dal continente europeo ed inizia a galleggiare nell'Oceano Atlantico. Una sorta di «precognizione», dentro un’atmosfera dai toni tra il magico-realista e l'apologia politica. «Chi aveva scritto quel libro, che parla di terra e di acqua, non poteva che finire a vivere lì. Lanzarote, è vero, è un paesaggio lunare, ma è anche un po’ il paesaggio dell’anima. Un posto in cui non si sentono rumori, cose superflue, ma si avverte la voce umana».
La scrittrice
Pilar del Rio, nata a Castril (Andalusia), fu la prima traduttrice di Saramago dal portoghese allo spagnolo (e questo fu il motivo del loro incontro) e presiede attualmente la Fondazione José Saramago di Lisbona. La Casa (con la «c» maiuscola) sull’isola ha come epicentro una grande libreria, dove «i libri, per mia volontà, erano divisi tra quelli delle autrici donne e quelli degli uomini» e la cucina, perché doveva accogliere gli amici, ed erano tanti. Anche illustri nomi italiani, come Bernardo Bertolucci, Claudio Magris (che stilò la prefazione di «Viaggio in Portogallo») e poi, ancora, Carlos Fuentes, Ernesto Sábato, Susan Sontag… Roberto Saviano scrisse alcune riflessioni finali ad «Alabarde alabarde», l’ultimo lavoro cui Saramago stava attendendo quando lo colse la morte: testo il cui protagonista, Artur Paz Semedo, è impiegato di una storica fabbrica d’armi.

«L’idea di Saramago – spiega Pilar del Rio – è che accanto alle fabbriche di armi esistono le fabbriche del conflitto. Se si fabbricano armi gli Stati fabbricano i conflitti, poiché nessuno produce per non consumare». Emerge il volto dell’intellettuale engagé, che aveva partecipato alla Rivoluzione dei garofani, le cui posizioni (Saramago era iscritto al partito comunista e dichiaratamente ateo) suscitarono molte controversie, soprattutto in Portogallo.
Sono proprio le aspre critiche, dopo la pubblicazione de «Il Vangelo secondo Gesù Cristo» e la censura posta addirittura dal Parlamento (le motivazioni? «Offende i portoghesi, è comunista» e… «il libro è scritto male») ad indurlo a lasciare il Paese per vivere alle Canarie. Assieme alla sua presa di posizione nei confronti della «flottilla» (la prima, del 2010, che fu fermata da un’operazione di Israele e provocò diversi morti).
Il maestro
«Oggi – aggiunge Pilar del Rio – per accostarsi a Josè Saramago si possono avere molte chiavi di lettura, «con pazienza e la consapevolezza che da lettore/lettrice diventerai più grande», cominciando magari da opere senza tempo come «L’anno della morte di Riccardo Reis» o «Memoriale del convento». E se molti di noi, almeno una volta nella vita, sognano di lasciare tutto e di andare a vivere sulla classica «isola deserta», José Saramago l’ha fatto davvero. Il viaggio della sua isola-zattera si è concluso, ma chi può dirlo? In fondo, suggerisce Pilar del Rio, «quando chiudiamo a chiave tutte le porte di una biblioteca, non sappiamo quel che realmente accade».
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