Cultura

Piazza Fontana e piazza Loggia, sul palco il dolore delle stragi

Lella Costa in «La parola giusta», al Sociale dal 3 all’8 dicembre, coprodotto da Ctb e Piccolo di Milano
L’attrice Lella Costa // PH. POLDI PEZZOLI
L’attrice Lella Costa // PH. POLDI PEZZOLI
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È tempo di abbonamenti per tornare, con la nuova stagione del Centro teatrale bresciano, «A riveder le stelle!». Temi d’attualità e drammaturgia del presente, con grandi artisti in scena, hanno particolare rilievo nella programmazione 2019-2020, che conta ben 14 produzioni del Ctb. Tra due anniversari importanti si colloca la scelta che - unendo nel ricordo due città - affida al teatro il compito di tornare al dolore di allora per rinnovate ragioni di speranza. Tra le due stragi di piazza Fontana a Milano e di piazza Loggia a Brescia, tra il 12 dicembre del 1969 e il 28 maggio del 1974, l’Italia ha vissuto un quinquennio di grandi lacerazioni e di difesa dei valori democratici, nella ricerca della verità necessaria alla convivenza civile.

A cinquanta e quarantacinque anni da quei fatti luttuosi il Piccolo Teatro di Milano - Città d’Europa e il Ctb coproducono lo spettacolo «La parola giusta», che inaugurerà il 2 ottobre la stagione del Piccolo e che sarà al Teatro Sociale di Brescia dal 3 all’8 dicembre. «Marco Archetti ha compiuto un grande lavoro di adattamento della parola al palcoscenico - spiega Lella Costa, interprete e collaboratrice, con il regista Gabriele Vacis, nella stesura del testo -. Mi piace molto l’idea della committenza, trovo bella questa possibilità di scambio tra le due città colpite che, insieme, ricordano in teatro quei fatti drammatici, sentendosi accomunate da un unico lutto, da un’unica richiesta di verità e giustizia, e affidano il racconto a una voce narrante femminile».

Il titolo dello spettacolo è preso da una poesia di Ryszard Kapuscinski. «Marco Archetti - osserva l’interprete - con grande delicatezza ha trovato le parole giuste per raccontare quegli eventi anche a persone che non ne sanno nulla, come dimostrano interviste fatte agli studenti. In tono autobiografico, confidenziale, si vuole trasmettere il senso di una storia comune. Non sarà una pura narrazione, ma teatro, e questo impegno a trovare il linguaggio della finzione mi sfida a cercare il passo giusto, perché non scatti il meccanismo dell’identificazione. Io interpreto la parte di una donna che era ragazza nel dicembre del 1969. Nella sua vita s’intrecciano storia privata e storia collettiva: il 1969 è stato anche l’anno della conquista della luna, erano tempi di grandi cambiamenti sociali e culturali e quei lutti hanno privato della possibilità di credere all’innocenza, alla possibilità di cambiare il mondo. Non sono io il personaggio in scena, che si rifà ai sentimenti di tanti in quei giorni: avevo diciassette anni e ricordo quel senso d’impotenza e di smarrimento che vogliamo trasmettere, insieme a quel bisogno di verità. Al di là dell’evento, il racconto in teatro diventa paradigma di lettura del mondo. La necessità di tenere alto il livello di attenzione e indignazione è molto importante ancora oggi, non sono scongiurati per sempre quei rischi».

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