Cultura

Paolo Sacchini: «Lascio un museo moderno, in cui l’arte dialoga con la spiritualità»

Dopo sette anni cambio alla guida della Collezione Paolo VI. A raccogliere il testimone, da gennaio, sarà Marisa Paderni
Paolo Sacchini - © www.giornaledibrescia.it
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Paolo Sacchini lascia, dopo sette anni, il suo ruolo di direttore alla Collezione Paolo VI - Arte contemporanea di Concesio. A raccogliere il testimone, da gennaio, sarà Marisa Paderni, storica dell’arte e docente all’Accademia di Belle arti SantaGiulia, che dal 2018 ha collaborato strettamente proprio con la direzione del museo dedicato a papa Montini.

Paolo Sacchini, che rimarrà comunque nel Comitato scientifico dell’istituzione museale, è stato nominato da ottobre vicedirettore dell’Accademia SantaGiulia, dove era già docente di Storia dell’arte contemporanea e coordinatore del Dipartimento di Comunicazione e didattica dell’arte e delle Scuole di pittura e scultura. Il suo lavoro è stato, in questi anni, cruciale nel promuovere la Collezione Paolo VI come polo culturale dinamico e interattivo attraverso mostre, incontri con personalità di rilievo, laboratori e visite guidate, lezioni aperte. Un’esperienza su cui lo stesso storico e critico d’arte fa il punto con noi, guardando nel contempo alle prospettive future.

Dottor Sacchini, può tracciare un bilancio di questi sette intensi anni?

Sono arrivato come direttore nel 2017, essendo stato comunque nel triennio precedente componente del Comitato scientifico, quando alla guida era Paolo Bolpagni. Quel che ho cercato di fare in questi anni, anche grazie al sostegno del presidente Giovannimaria Seccamani e di tutto il Consiglio d’amministrazione, è stato di operare nei limiti delle forze disponibili affinché la Collezione si affermasse con i connotati di un museo attuale e aggiornato, capace di lavorare da un lato con approccio scientifico e, dall’altro, di avere un volto più divulgativo, promuovendo con le sue collezioni il messaggio di Paolo VI tramite uno spettro molto ampio e variegato di attività. Ho sempre voluto mantenere un filo rosso legato alla quotidianità e ai temi che possono emergere dall’incontro con artisti e studiosi, al rapporto tra arte contemporanea e spiritualità nella linea indicata dal Papa.

Quali sono gli aspetti su cui, operativamente, si è concentrato il suo incarico?

Sono fondamentalmente quattro: intanto, abbiamo avuto un consistente incremento di visitatori che, nel corso di tre anni, sono triplicati passando dai 2100 del 2016 ai 6200 del 2019; poi, ovviamente, la pandemia ha affossato questi numeri, ma nel 2023 siamo tornati ai livelli pre-Covid. Poi, considerato che la nicchia dei musei ed enti che si occupano del nesso tra arte contemporanea e spiritualità in Italia è piuttosto ristretta, ci siamo guadagnati una credibilità riconosciuta in ambito nazionale ed internazionale; abbiamo avuto ospiti come Mario Botta, Adrian Paci, Sylvain Bellenger, Micol Forti o Carlo Diaz che ci hanno testimoniato il loro apprezzamento. Inoltre, anche il nostro museo è diventato più sostenibile: siamo diventati bravi nella progettazione per bandi, a trovare risorse in maniera autonoma e ciò ci ha consentito di attuare belle iniziative ed avere una solidità maggiore, oltre a quella assicurataci dall’Opera per l’educazione cristiana e dal nostro Cda per le spese ordinarie; abbiamo stabilito un rapporto anche col Comune di Concesio in quanto in grado di coinvolgere la comunità e le tante associazioni culturali. Infine, vorrei aggiungere che quando sono arrivato eravamo quattro in ufficio, oggi abbiamo uno staff di una decina di persone, tutti giovani: lascio una struttura capace di andare avanti e proseguire con le linee che si vorranno dare.

Ci sono dei momenti, in particolare, di cui conserverà un ricordo importante?

Durante la pandemia - me lo ricorderò sempre - eravamo tutti fermi. Ad un certo punto papa Francesco dedica il suo pensiero agli artisti in quei mesi così difficili; questi rispondono con una lettera e noi li abbiamo invitati per una prima iniziativa online in cui rendevano omaggio a Paolo VI: erano Mimmo Paladino, Sandro Veronesi, Giovanni Veronesi e Sergio Rubini. È stato qualcosa di inedito e molto emozionante, che in quel momento serviva. Oltre alle numerose mostre che abbiamo realizzato, ci sono i progetti fatti sul territorio, fra cui «Tessere» finanziato da fondazione Cariplo, con la partecipazione di una ventina di realtà culturali e, di recente, «Racconti di comunità» con la fondazione Comunità Bresciana, focalizzato sull’interazione con un pubblico di fragili. E altro ancora. Ma non me ne vado del tutto, resto nel Comitato scientifico e non lascio il lavoro a metà: quel che dovevo fare credo d’averlo fatto ed è giusto, ora, lasciare spazio a qualcuno di nuovo che metta in campo idee diverse.

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