Nodari: «Vorrei che la mia musica toccasse nel profondo»

Il disco è morto, viva il disco. Escono a distanza ravvicinata 4 (più 2) produzioni discografiche del compositore bresciano Marco Nodari, docente di Teoria dell’armonia e analisi al Conservatorio di Ferrara.
Si tratta di un «Doppio concerto» per violoncello, chitarra e orchestra (inciso per la Stradivarius, con i solisti Giovanna Buccarella e Francesco Diodovich); un cd monografico di brani organistici (Da Vinci Edition) affidato a tre virtuosi dello strumento a canne; un’ampia pagina per violoncello solo; una novità pianistica che rielabora musiche dei Queen, eseguita da Gabriele Baldocci, insegnante al Trinity Laban di Londra e collaboratore di Martha Argerich; a breve saranno pure pubblicati il «Concerto per fisarmonica e archi» eseguito lo scorso anno in Messico da Gino Zambelli e diretto da Silvio Maggioni, e altre tre nuove «Invenzioni» per organo. Un frizzante postmodernismo in saldo equilibrio fra tradizione e modernità.
Ma il vecchio disco non era destinato a scomparire?
Innanzitutto il cd vanta sempre una migliore qualità audio: la fedeltà sonora della cosiddetta musica liquida è inferiore rispetto alla musica solida (compact disc o vecchi Lp). L’immaterialità delle piattaforme digitali è di sicuro una magnifica opportunità per conoscere cose difficilmente reperibili e per coltivare attività musicali professionali. Eppure credo che il disco sia ancora qualcosa da collezionare, custodire, condividere. Lo stesso 33 giri sta tornando di moda tra gli appassionati: è un oggetto bello, perfetto come un pianoforte a coda, che ha raggiunto la perfezione della sua funzionalità. Per un compositore o un interprete, infine, il cd rappresenta la conclusione di un lungo processo: dall’ideazione di un progetto all’atto finale della registrazione. Un percorso concluso, la cui qualità resta a disposizione di tutti e testimonianza per il futuro.
Dove nasce la sua sintonia con il ’900 più consonante?
Consonanza e dissonanza sono concetti relativi, la dissonanza può essere considerata «una consonanza più lontana», per usare le parole di Arnold Schönberg. Le sonorità di Stravinsky o di Bartok non sono certo morbide o vellutate, ma pungenti e intense, piene di ritmo, vigore, forza. Ugualmente, vorrei che la mia musica fosse fortemente espressiva, che emozionasse profondamente: questo è per me il più alto ideale. La mia ricerca non va nella direzione di nuove strutture o armonie, ma nell’invenzione di forme ben proporzionate, melodie significative, armonie efficaci.
In autunno a Berlino, Francoforte e Danzica presenterò miei pezzi inediti per flauto e bandoneón e piano a 4 mani; sto anche ultimando una raccolta di 12 Studi pianistici da concerto. Pur ammirando alcuni grandi maestri molto diversi da me (Lutoslawsky e Ligeti, tra gli altri), voglio seguire la mia strada, senza preoccuparmi di critiche o cedere a facili lusinghe. Ancora perdurano forme di emarginazione nei confronti di chi usa un linguaggio meno "radicale". L’arte deve essere sincera.
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