Natalino Balasso conquista con il suo dizionario scritto a mano
Come i filosofi, al pari dei bambini, sono spinti a farsi domande dalla meraviglia per il mondo, così Natalino Balasso pesca le parole da un grande dizionario scritto a mano.
Il comico ribalta la consueta definizione del vocabolario, scatenando le risate del pubblico, ma anche suggerendo, tra le righe, di non accontentarsi della norma, della soluzione più facile, bensì di cercare, con la propria testa, il vero significato della realtà.
Complice anche la parlantina sciolta, l’inconfondibile accento veneto e una voce terrigna che quasi ruggisce sugli acuti, nella passione trascinante del discorso, l’attore di Rovigo conquista con il suo «Dizionario Balasso» (questo il titolo dello spettacolo, dal dizionario che, appunto, campeggia sulla scena, scritto dallo stesso attore) la platea dei 600 presenti ieri sera al teatro Dis_play del Brixia Forum, per Cipiesse.
Riflessione sì, dunque, ma anche tanto divertimento, fra giochi di parole, digressioni, curiosità, parabole riviste e una comicità che sembra fare qui dello stupore infantile il suo modello. Affiancato da una passione per il jazz che l’artista declina nell’improvvisazione teatrale: qualche volta anche il pubblico di Brescia viene chiamato a scegliere le parole e a costruire lo show (come con il lemma «mona», urlato dalla platea). Se la Bibbia recita che «ne uccide più la lingua che la spada», Balasso evoca un fantomatico «spadone medievale» di 35 chili di peso pronto a scagliarsi nella «fontanella del cranio» (la cima del capo), con effetti probabilmente più devastanti delle parole «ti lascio», così dolorose per il cuore.
E se i «secchioni» ricordano sempre perfettamente l’ordine alfabetico, noi «intelligenze comuni» ci lasciamo guidare dalla logica casuale (solo in apparenza) dell’attore. Sarebbero infatti le parole a «cercarci a noi» (sic: i modi di dire dialettali sono fondamentali per la spontaneità del messaggio e per l’effetto comico), e non viceversa. E il caso regolerebbe le vicende del mondo. Anche ricordi d’infanzia.
Chi lo sa? Comunque non è un caso che la drammaturgia e la recitazione dell’artista veneto siano efficaci. Procede per analogia, con associazioni libere che attingono anche ai ricordi d’infanzia: come la Z di «Zorro», l’eroe in cui Don Diego de la Vega si trasformava con una semplice «mascherina da scambista», almeno nella versione del «Dizionario Balasso». E se anche il racconto è costellato di «mona» (schiocchi, in veneto), al termine, divertiti, ci sentiamo quasi più intelligenti.
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