Musica

Vecchioni è infinito e strappa l’ovazione del Teatro Clerici

Enrico Danesi
Una serata da applausi per il cantautore, che ha incantato duemila persone con una scaletta piena di successi
Vecchioni, un maestro al Clerici
AA

Infinito Vecchioni, tra libri e donne, liriche e «magoni» rientrati, magistrati e artisti «inutili», mamme e maestre, palchi e cattedre, macellai «con una cultura» ed emozioni.

A 81 anni suonati il Professore sfoggia l’inconfondibile voce profonda e catramata (solo un po’ graffiata dal tempo), la stessa gestualità espressionista di sempre, l’affabulazione appassionata, una voglia di poesia inesausta come sete non appagata. Con sonorità calde e modalità intima, Roberto Vecchioni propone una scaletta coerente alla sua lunga storia d’amore con la vita e con l’essere uomo (per cui, come voleva Terenzio, «humani nihil a me alienum puto»). E davanti alle 2.000 persone di un Teatro Clerici tutto pieno, si mostra a proprio agio come se fosse nel salotto di casa, magari perché una casa da queste parti (a Barcuzzi) ce l’ha davvero. 

Lo spettacolo

  • Roberto Vecchioni al Teatro Clerici
    Roberto Vecchioni al Teatro Clerici - Foto New Reporter Marazzani © www.giornaledibrescia.it
  • Roberto Vecchioni al Teatro Clerici
    Roberto Vecchioni al Teatro Clerici - Foto New Reporter Marazzani © www.giornaledibrescia.it
  • Roberto Vecchioni al Teatro Clerici
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  • Roberto Vecchioni al Teatro Clerici
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  • Roberto Vecchioni al Teatro Clerici
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  • Roberto Vecchioni al Teatro Clerici
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  • Roberto Vecchioni al Teatro Clerici
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  • Roberto Vecchioni al Teatro Clerici
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  • Roberto Vecchioni al Teatro Clerici
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  • Roberto Vecchioni al Teatro Clerici
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  • Roberto Vecchioni al Teatro Clerici
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  • Roberto Vecchioni al Teatro Clerici
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  • Roberto Vecchioni al Teatro Clerici
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  • Roberto Vecchioni al Teatro Clerici
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  • Roberto Vecchioni al Teatro Clerici
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  • Roberto Vecchioni al Teatro Clerici
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  • Roberto Vecchioni al Teatro Clerici
    Roberto Vecchioni al Teatro Clerici - Foto New Reporter Marazzani © www.giornaledibrescia.it

Si prende applausi convinti già quando avvia il concerto con «Il lanciatore di coltelli», esplicitando l’idea della trasmissione del sapere di padre in figlio, di nonno in nipote; quindi li incassa citando Hikmet («Il più bello dei mari…») e mettendo in fila «Ti insegnerò a volare», «Ogni canzone d’amore», «La mia ragazza», mentre con la splendida «Vincent» (sull’amicizia tra Van Gogh e Gauguin) prima, e con la struggente «El bandolero stanco» poi, strappa l’ovazione.

Scorrono anche «Voglio una donna» ed estratti «da un angolino di nostalgia» riempito (quando c’è solo la chitarra di Massimo Germini ad accompagnarlo) da perle come «Arthur Rimbaud», «La bellezza», «A te». Trovano spazio anche «Le mie ragazze» (al plurale, stavolta), «Sogna, ragazzo, sogna», «Chiamami ancora amore» e, recuperata dall'oblio, «Archeologia». Finale trionfale con la canzone-totem, Luci a San Siro e Samarcanda». 

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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