Slings: «Siamo cresciuti con l’hip hop, a Brescia stiamo molto bene»

Torna l’urban wave dei bresciani Slings. Un flusso musicale avvolgente e ipnotico che il duo formato da Prince The Goat e Ibra The Boy porta oltre la trap con «Too clean», ep in uscita il 13 giugno su tutte le piattaforme digitali.
Un disco di sette tracce, anticipato dal singolo «Skrt» e impreziosito da vari featuring, che mantiene l’irriverenza non sempre edificante e costantemente da «avviso ai genitori» caratteristica strutturale della trap, forse con meno eccessi che in passato (comunque parlando di quotidianità, disagio, aspirazioni), ma che alza l’asticella sul piano delle sonorità, attraverso un hip hop versatile, dalla personalità spiccata. Abbiamo parlato con gli Slings del nuovo progetto.
Prince, Ibra: con i suoi bassi profondissimi e il ritmo serrato, «Skrt» è brano che si distingue dagli altri. Volutamente?
Più di altri vuol far ballare. Il nostro percorso è legato sin dal principio all’idea del ballo, e «Skrt» è più movimentato e con un tempo diverso, proprio per questo motivo. Pure gli altri sono brani da club, ma d’atmosfera o da cantare, più che da ballare.
I chiari riferimenti al rap d’oltreoceano sono conseguenza dei vostri ascolti?
Facciamo sempre la roba che ci piace, e il mondo di riferimento è quello americano, non solo nel sound. Anche nell’uso dello slang mescolato all’italiano, che ci permette di chiudere certe rime che sarebbe impossibile far quadrare con la nostra lingua.
Nel rap e nella trap i sodalizi che durano nel tempi sono rari, mentre il vostro pare solidissimo…
Siamo amici, come fratelli, e saremmo sempre insieme anche senza la musica. Il lavoro lo viviamo come un divertimento, e pure il nostro staff è formato dagli amici di sempre. Confrontarci, anche farci critiche a vicenda se serve, non è un problema e non crea malumori, perché non c’è il desiderio di prevalere sull’altro. Questa è la nostra forza. E rende tutto più facile anche in studio, dove può capitare che uno canti una cosa e l’altro chiuda la rima, in modo naturale.
La trap è uno stile di vita?
Non la trap, semmai l’hip hop in generale. È la cultura con cui siamo cresciuti, in cui ci riflettevamo sin da ragazzi, forse perché ci assomigliava. Ed è diventato la nostra vita, che incide sul modo di vestirci, di muoverci, di fare.
Il disco contiene featuring di Tony Boy, Guè, Shiva, Diss Gacha, del rapper britannico Jay1. Collaborazioni nate per ragioni discografiche o di vicinanza artistica?
I featuring non sono mai calati dall’alto, ma cuciti come un abito su misura intorno ad artisti con cui siamo in sintonia. Di Tony Boy siamo fan da quando aveva 1000 follower (ora ne ha 860mila, ndr); Shiva ha mostrato attenzione per la nostra produzione, e il sentimento è reciproco; Jay1 lo abbiamo incontrato in un club a Copenaghen ed è stato spontaneo collaborare.
Che rapporto avete con Brescia?
Siamo cresciuti a Bagnolo Mella e abbiamo sempre visto in Brescia e provincia una realtà rispettosa, anche se a volte corre il rischio di mostrarsi indifferente. Ma è un posto che ci ha fatto sempre sentire al sicuro (cosa che per esempio non capita a molti rapper di Milano), in cui anche le istituzioni hanno mostrato apprezzamento per la nostra musica, nel quale si sta bene. Una terra di opportunità, anche: per questo siamo rimasti a vivere qui.
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