Sanremo, tra testi standardizzati c’è chi si salva: promossi e bocciati

Non è necessario scomodare la Crusca o cercare la tradizione letteraria per addebitare certe monotonie e certe uniformità linguistiche molto colloquiali al fatto che ci siano 11 autori per un buon 65% dei brani di questo Sanremo, ormai causa-effetto di lottizzazione, consolidata da anni.
Il lavoro è cambiato
Gli autori? Quelli capaci si evidenziano già alla prima lettura. Ho iniziato il mio lavoro di paroliera, quando le canzoni si facevano in studio, spesso con l’artista presente, per vasi comunicanti e si dava molta importanza alla perfezione metrica: se licenza poetica ci deve essere, non sia un continuo prolasso di accenti lirici e confusi.
Ora i testi sono frutto di altro, più meccanico, più virtuale, più confezionato per o pro. Inutile cercare poesia, capacità letterarie e anima in un mondo che è evoluto verso forme di scrittura che per noi superboomer, cresciuti a pane e cantautori, sono ostiche e prendono aria solo grazie a supporti musicali più o meno a tormentone, più o meno radiofonici.
La poesia di Brunori, Cristicchi e Corsi
La poiesis è altro e in questa kermesse ce lo hanno raccontato Simone Cristicchi (qui sono di parte, essendo un caro amico da oltre 20 anni) con una scrittura tutta sua che si presta a ritmi teatrali anche nel finale e va dritta al cuore, il testo agile e tenero del folletto Lucio Corsi, la penna sapiente di Brunori sas, pezzi che possono vivere di vita propria anche senza musica.
Interessante la canzone di Noemi – si sente la mano di Mahmood – curiosi il brano retrò di Lauro e il brano quasi rock di Marcella Bella. È già comunque una buona media. Peccato che Giorgia non abbia ancora trovato un testo all’altezza della sua immensa voce – comunque sarà una canzone radiofonica.
Sufficienti e insufficienti
Nella sufficienza anche i testi scritti per Francesca Michielin, Elodie, Clara. Un testo che già da una prima lettura si presta al tormentone estivo è quello dei Coma_Cose (in versione nuovi Ricchi e Poveri). Per Ranieri un pezzo debole seppur composto da grandi autori, non supportato neppure da ampi voli di melodia.
Il resto è la musica che gira intorno. Si fatica a riconoscere un rapper dall’altro, una cantante dall’altra e non importa più quante volte appaia la parola amore né che un trasgressivo «stronza» sia scritto e cantato dalla non più giovanissima Bella, che Tony Effe abbia fatto uno stornello paraculo, né che Gabbani questa volta abbia perso la sua verve. Ma la canzone oramai è diventata più spettacolo che musica e parole, e i testi sono per i pochi che hanno voglia di cercarli.
Nini Giacomelli, paroliera
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
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