Nitro e MadMan infiammano i 7mila di Festa Radio Onda d’Urto

Nitro e MadMan (più il bravo bergamasco-marocchino 8Blevrai) chiamano, e il popolo dell’hip-hop risponde, con entusiasmo. Sono sei-settemila i ragazzi (l’età media è abbondantemente sotto i trent’anni) assiepati sotto il palco principale di via Serenissima, per i set del rapper vicentino e di quello pugliese, ma erano già numerosi anche per l’opening act in scena prima delle 22. A conferma del fatto che è ormai decisamente hip-hop – se non altro per una questione generazionale – la colonna sonora più accreditata della Festa di Radio Onda d’Urto, nata trentatrè anni fa sotto l’egida di altri generi, punk e reggae, ora relegati a un ruolo ancillare.

La serata

Alle 22, minuto più minuto meno, si presenta per la prima volta in assoluto al pubblico antagonista il rapper salentino MadMan (ovvero Pierfrancesco Botrugno, all’anagrafe di Grottaglie), ormai svincolato dal romano Gemitaiz (con il quale ha collaborato a lungo) ed efficacemente supportato dal dj monzese 2P. Performance virtuosistica la sua, giocata su velocità d’esecuzione e un ritmo che alterna ossessioni battenti a momenti più sincopati, i versi molto carichi e declamati con enfasi furiosa, più attenti alla rima e all’assonanza che non alla reale qualità dei testi (ma alcuni non sono male), come si nota con «Serial killer», «Tutto in un giorno», «Veleno 6», «Chillin’», e pure con la reiterazione e i riverberi impregnati d’autotune della divertente «Storie». Notevoli, ad ogni modo, l’energia di fondo e l’empatia di MadMan verso la platea (che ricambia facendo da coro in diverse occasioni), anche se non sempre paiono felici le battute d’approccio. L’effetto complessivo è comunque di buon impatto.

Calore

L’ultima ora è appannaggio di Nitro, che – diversamente da chi l’ha preceduto – ha già partecipato più volte alla kermesse in passato (ed è parecchio presente nelle rotazioni radiofoniche di Onda d’Urto), ricevendo un’accoglienza che calorosa è dir poco, in un’occasione esibendosi perfino con una gamba ferita, da novello Garibaldi (o alla Enrico Toti, a voler preservare un’epica combattente). La cosa curiosa è che il 32enne veneto, il cui vero nome è Nicola Albera, si considera (e si presenta come) un perenne outsider, tanto da aver dedicato al tema addirittura l’album omonimo del 2023, sebbene abbia uno status ormai riconosciuto nel panorama rap nazionale.

Per certo, Nitro, in omaggio al suo nome, ha una presenza scenica esplosiva, con una fisicità debordante, quasi animalesca. Nel live resistono, sebbene attenuate, le sfumature metalliche introdotte nell’ultimo lavoro, e in primo piano restano – al servizio di una selezione che va a pescare indietro nel tempo, anche brani come «All Inn», «Sassi e diamanti» o «Baba Jaga», che sono pugno di ferro in un guanto di velluto – l’hardcore hip hop, le rime sferzanti sparate a velocità supersonica e l’immaginazione tanto potente quanto rancorosa, con bersagli ora colpiti attraverso le categorie (gli artisti, i benpensanti, gli haters, gli arroganti, i vezzosi), ora affondati con indicazione nominativa.

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D’altronde, cosa aspettarsi da u n i rredimibile reprobo che si lamenta sornione nella (quasi) dolce «MaryLean» e in «Paranoia», e che in «Anyway« rifiuta ogni possibile omologazione e si scaglia contro i colleghi: «Questi si credono mercenari, ma sentono i pescecani/ La puzza di privilegio che non fiuti perché emani (ah)/Non odiare le cose che non capisci/Loro fanno le pose, noi ancora dischi/Quanta gente vorrebbe che io sparissi/Solo bad vibes nella wishlist/Potremmo ammirare l'eclissi per riaffiorare poi dagli abissi»? Mentre in «Outsider» (title-track del disco del 2023) fa registrare spunti da nuovo manifesto: «Non c'è niente che mi fa più pena/Di un pezzente che difende i ricchi (eh)/A dirla esatta se muore un monarca/Me ne stappo un'altra e brindo ai miei diritti».

E in «Storia di un defunto artista» azzarda: «Beh, scusa, non mi scuso, la musica è l’unica musa di cui abuso/Perché non mi usa e non mi ha mai illuso». Urla, salti, applausi, entusiasmo alle stelle: è questo il modo in cui il popolo del rap manifesta (con varietà) la propria indubbia approvazione.