L’organista bresciano che sa far «parlare» e cantare il re degli strumenti

Si muove in bilico fra umiltà e spettacolo, silenzio e clamore, bonarietà e fierezza il 23enne organista bresciano Francesco Botti, attento alle ragioni dell’emozione e a quelle dell’ostentazione. Servono entrambe per dominare e restituire le complesse partiture del re degli strumenti. Ambedue sono necessarie per entrare nella lista dei migliori giovani organisti al mondo.
Botti si è classificato al secondo posto all’International Martini Organ Competition (Imocg), prestigioso concorso che si tiene ogni due anni a Groningen in Olanda e richiama organisti da tante nazioni. Dodici partecipanti da tutto il mondo affrontano una serie di prove eliminatorie articolate su una settimana, per approdare alle fasi finali.
Botti si è confrontato con giovani colleghi di Giappone, Australia, Germania, Francia, Italia, Ungheria, Stati Uniti, classificandosi al secondo posto dietro all’olandese Wibren Jonkers che giocava in casa. La giuria, presieduta da Bernard Foccroulle (Belgio), era formata da Matthias Havinga (Paesi Bassi), Monica Melcova (Slovacchia), Ville Urponen (Finlandia) e Vincent Thévenaz (Svizzera). «Una sfida ad alta tensione – sintetizza Botti –. Non è stato semplice padroneggiare quegli enormi strumenti in cui l’intero corpo, posto in controfacciata, circonda letteralmente l’esecutore. Sono monumenti dell’arte organaria, diversi dai nostri per concezione sonora, poetica, timbrica, manifattura, dimensione, effetto fonico. La difficoltà è stata poi complicata dal poco tempo assegnato per lo studio e la preparazione diretta sugli strumenti, un’ora e mezza per ogni singola prova».
Cosa è piaciuto alla commissione, delle sue performance?
«I giurati si sono congratulati con me per espressività, musicalità, scelta dei registri, interpretazione. Anche l’organo sa «parlare» e cantare: tramite tocco, articolazione, peso, fraseggio, uso dei registri, attacco del tasto e suo rilascio. La trasmissione meccanica permette di agire in maniera molto sensibile sulla valvola che apre il flusso dell’aria. L’organo è una creatura viva, forte e delicata, che reagisce ai nostri impulsi e vi risponde in maniera immediata. Sto imparando a conoscerlo sempre meglio. Dopo il diploma al Conservatorio Marenzio, mi sono perfezionato a Verona con Massimiliano Raschietti, maestro capace di valorizzare al meglio le mie caratteristiche umane e artistiche. Il prossimo anno suono a Bremgarten (Svizzera), a Roden e a Enkhuizen (Olanda); il 29 settembre sono a Erbanno in duo con il mezzosoprano Maria Giuditta Guglielmi e il 12 ottobre a Verona per la rassegna concertistica intitolata a Terenzio Zardini».
Cosa porta a casa, da questo serrato confronto organistico?
«Che la sfida internazionale è di altissimo livello; quanto siano validi i nostri insegnanti; e la forza fantastica della nostra «scuola italiana». L’organo è una sorta di laboratorio nel quale mi piace sperimentare, la cui intimità avvalora l’avventura della ricerca e la cui proiezione sonora nello spazio sacro ne amplifica a dismisura la potenza».
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