Musica

«Fedele ai Pink Floyd da quando mi rapì il sound di The Wall»

Enrico Danesi
Edo Scordo, l’italiano del gruppo, con i Brit Floyd aprirà venerdì 18 ottobre a Brescia la stagione del nuovo Teatro Clerici
Un'esibizione dei Brit Floyd - © www.giornaledibrescia.it
Un'esibizione dei Brit Floyd - © www.giornaledibrescia.it
AA

C’era un ragazzo di Middlesbrough, che da piccolo amava giocare ai Pink Floyd, folgorato prima dal sound di «The Wall», poi da un concerto nel 1987 (quello di «A Momentary Lapse of Reason»). Da grande, per Damian Arlington la passione è diventata professione: già membro degli Australian Pink Floyd Show, nel 2011 ha fondato a Liverpool i Brit Floyd, oggi una delle più accreditate (per molti la migliore in assoluto) tra le tribute-band internazionali votate al verbo pinkfloydiano.

I Brit Floyd tornano a Brescia (dove hanno suonato in diverse occasioni) con il «P-U-L-S-E World Tour 2024», che celebra l’omonimo album live del 1994, ma non solo: l’appuntamento, che apre ufficialmente la stagione del Teatro Clerici (ex Morato) di Brescia, è in cartellone venerdì 18 ottobre, alle 21.15 (in via San Zeno 168; biglietti da euro 34,50 a euro 59 + commissioni; info zedlive.com).

In formazione, oltre ad Arlington (chitarre, voce), ci sono Ian Cattel (basso, voce), Edo Scordo (chitarre, voce), Matt Riddle (tastiere, cori), Ryan Saranich (polistrumentista che spazia dai fiati alle percussioni, dalle chitarre alle tastiere), Randy Cooke (batteria, percussioni). Inoltre a Brescia (e Padova), ci sarà anche la cantante e attrice canadese Eva Avila (voce, cori), una «forza della natura»: così la definisce il marito Edo Scordo, l’italiano del sodalizio, che abbiamo intervistato.

Edo, riproporrete il live pari pari?

La nostra è una rivisitazione, che guarda alla scaletta del tour, che non è quella poi messa su disco. In alcuni casi i pezzi sono proprio nella versione del live; ma non sempre è così, perché ci siamo accorti che certi brani (come «Time», «Wish You Were Here», «The Great Gig in the Sky», …) il pubblico si aspetta di sentirli nelle versioni incise nei dischi che le contenevano in origine. Ma celebriamo anche «The Division Bell» (14° album in studio dei Pink Floyd, pubblicato nel 1994, ndr), per cui nei concerti alterniamo tracce del disco.

Anche sul versante scenografico l’obiettivo resta la fedeltà?

Assolutamente. Noi puntiamo a un «lay out» che sia fedele a quello storico. Per cui abbiamo il cerchio e l’arco di «Pulse», il maiale gigante quando serve…Certo, dobbiamo adattarci agli spazi in cui suoniamo, che non sempre contengono tutto: ma il progetto di partenza è quello di ricreare la scena con massima aderenza e rispetto.

Quali sono i pezzi più difficili da affrontare?

In generale, credo sia «Shine On You Crazy Diamond». Non in sé, ma perché dopo aver suonato migliaia di volte la versione originale, fare quella live di «Pulse» comporta un supplemento di concentrazione, in relazione a vibrati, suoni più tirati o lunghi. Per quanto mi riguarda, invece, è «A Great Day of Freedom», perché devo cantarla io stesso, ed è un pezzo difficile.

Nei Brit Floyd ci sono più watersiani o gilmouriani?

Siamo pari, a ben guardare. Ma confesso che io, che pure ho cominciato a suonare la chitarra, rapito da David Gilmour, a volte non riesco a smettere di ascoltare le cose straordinarie composte da Roger Waters. Ad ogni modo, i miei dischi preferiti sono «Wish You Were Here» e «The Division Bell».

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

Iscriviti al canale WhatsApp del GdB e resta aggiornato

Icona Newsletter

@News in 5 minuti

A sera il riassunto della giornata: i fatti principali, le novità per restare aggiornati.